| Vedere oggi in Italia un numero crescente di giovani musicisti che 
            formano band di musica Progressive Rock fa veramente piacere. Nuova 
            linfa, freschezza e idee.
 I The Forty Days sono toscani (Pisa/Livorno) e nascono come cover 
            band Rock di gruppi anni ’70. Fra le loro influenze ci sono 
            Pink Floyd, King Crimson, Supertramp, Led Zeppelin, ma anche gruppi 
            più recenti come Porcupine Tree e quindi Steven Wilson, Marillion 
            ed altri ancora.
 
 Il nome The Forty Days deriva dal fatto che tra la prima prova ed 
            il primo live sono intercorsi circa 40 giorni. La band nel tempo è 
            soggetta a cambiamenti di line up, sino a giungere oggi alla formazione 
            con Giancarlo Padula alla voce e tastiere, Dario Vignale chitarra 
            e voci, Massimo Valloni al basso e Giorgio Morreale alla batteria. 
            “The Colour Of Change” si può considerare un concept 
            album pur non avendo un vero filo conduttore narrativo, perchè 
            racconta un certo periodo della vita attraverso molteplici punti di 
            vista. Le canzoni vengono concepite nel corso degli anni 2015 e 2016.
 
 Sette i brani contenuti nel disco accompagnato da un libretto dettagliato 
            di testi (il cantato è in lingua inglese) disegnato da Giancarlo 
            Padula, con l’artwork di Matteo Di Giacomo e le foto di Laura 
            Messina.
 
 Essendo i Pink Floyd nel loro background, il disco non si poteva che 
            aprire con un tappeto sonoro mix fra “Shine On You Crazy Diamond” 
            e “Sorrow”, il titolo è “Looking For A Change”. 
            Ma ovviamente trattasi solamente dell’intro, il brano si svolge 
            in successione fra cambi di tempo ed umore, anche con un piccolo balzello 
            nel Neo Prog di matrice anni ’80. Davvero godibile il tutto 
            in quanto spezzato anche da un solo di chitarra, seppure breve ed 
            incisivo. La voce è grintosa ed ottima interprete.
 
 Godibilissima la strumentale “Uneasy Dream”, qui le tastiere 
            giocano un ruolo centrale fra fraseggi e rincorse con la chitarra 
            elettrica. In questo frangente si esibiscono anche le buone doti tecniche 
            dei singoli strumentisti. Un arpeggio di chitarra apre la bellissima 
            “The Garden”, le atmosfere si fanno pacate ed il cantato 
            è inizialmente più sussurrato, un mix di influenze che 
            danno come risultato una canzone di classe e toccante, i The Forty 
            Days puntano direttamente al cuore dell’ascoltatore. Trovo affinità 
            anche con i tedeschi RPWL per chi li conosce. Personalmente poi i 
            solo di chitarra così mi mettono ko. “Homeless” 
            è quasi una suite con i suoi nove minuti abbondanti, la canzone 
            più lunga dell’album. Ebbene qui troviamo un mix dei 
            loro punti di riferimento sopra citati e ancora una volta molta enfasi 
            e fughe strumentali.
 
 Altro piccolo gioiello è “John’s Pool”, pacato 
            all’inizio per lanciarsi nel crescendo emotivo e sonoro sempre 
            di grande presa, assolo di chitarra annesso. Il piano apre “Restart”, 
            altro volo pindarico con richiami Pink Floyd e Marillion. Finale stupendo 
            che potrebbe trovare locazione anche nella discografia dei norvegesi 
            Airbag. Il discorso è analogo per la conclusiva “Four 
            Years In A While”.
 
 Trattasi di debutto, e la cosa quindi diventa ancora più interessante, 
            in quanto ci si attende anche una ulteriore crescita e visto quanto 
            abbiamo ascoltato, le premesse sono tutte buone. Bel periodo, il Progressive 
            Rock italiano può dormire sonni tranquilli. Bravi. MS
 
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