| Debutto discografico per questa band romana, formatasi nel 2007, ma 
            che solo recentemente ha trovato una propria stabilità. Il 
            nucleo principale è composto dal chitarrista Daniele Sopranzi, 
            dal batterista Michele Ricciardi e dal bassista Marco Piloni, a questi 
            si sono aggiunti col tempo Daniele Fuligni alle tastiere e Claudio 
            Cassio alla voce. Il nome del gruppo è anche il titolo di un 
            romanzo di fantascienza pubblicato in Italia nel 1984, ma il titolo 
            dell’album si ispira al capolavoro di Orwell, uno dei romanzi 
            più visionari e profetici della letteratura contemporanea.
 
 La band propone un prog fortemente settantiano, non solo per le tessiture 
            musicali, ma anche per la scelta della strumentazione, degli arrangiamenti 
            e delle tecniche di registrazione, con rimandi a gruppi come Banco, 
            Orme e Cervello, con testi in italiano, quindi si rinnova in loro 
            la migliore tradizione del prog tricolore. Il loro sound è 
            un mix di rock sinfonico e psichedelia con qualche pennellata dark 
            rock, con un buon tasso tecnico e con un amalgama convincente. Unico 
            neo se vogliamo è l’atteggiamento fortemente retrò 
            che si respira lungo l’ascolto di questo particolare album, 
            anche se questo aspetto per molti potrebbe sembrare la carta vincente 
            della band. In altre parole un moderno classico del genere, che si 
            inserisce alla perfezione nella lunga tradizione nostrana. I brani 
            sono ben amalgamati e ci sono dei passaggi musicali notevoli, mentre 
            l’integrazione dei testi con le musiche riflette le difficoltà 
            che il nostro idioma ha sempre incontrato col prog rock. Però 
            un po’ per i temi trattati, che sono sempre più attuali 
            e un po’ per una vena poetica propria della band, il tutto si 
            fa apprezzare ascolto dopo ascolto.
 
 La cover del cd mi ha ricordato gli “uomini grigi” di 
            Momo di Michael Ende, ma in realtà è solo una coincidenza, 
            però è inquietante come il tema trattato e oggi è 
            sempre più attuale far riflettere sulla manipolazione attraverso 
            i mass media. Un disco che si inserisce di diritto nella migliore 
            tradizione del prog italiano e non solo. GB
 
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