Il musicista Francesco Fioretti ha fondato questa band nel 2019 ed
ha pubblicato un primo lavoro, In Circle, un paio di anni fa. Oltre
a Fioretti, che è l’autore dei testi, cantante e chitarrista,
nella band, attualmente, ci sono Mario Di Battista (Ulan Bator) al
basso e voci, Manuel Coccia alle chitarre e Alessandro Vagnoni (Bologna
Violenta, Ronin) alla batteria. Però non è la formazione
che ha registrato il disco, Vagnoni è presente solo in un brano
come chitarrista e alla batteria c’è Gabriele Uccello,
Coccia non è presente.
Lo stile della band viene definito post-rock anti-folk e possiede
un forte carattere sperimentale, armonie e disarmonie si intrecciano
alla ricerca di soluzioni ruvide, che suscitano un senso di allarme
e tensione crescente. Il lavoro si ispira ad un saggio di Giorgio
Manganelli, che rilegge il Pinocchio di Collodi. Il booklet è
impreziosito da dipinti di Vagnoni che illustrano con uno stile espressionista
il dipanarsi della storia.
Tra i solchi di questo lavoro possiamo ritrovare atmosfere alla Mark
Ribot che incrociano gli incubi dei King Crimson più acidi
e passando per i Sonic Youth, linee melodiche vagamente stralunate,
che riflettono le inquietudini del nostro tempo, quasi fossero una
colonna sonora per lo spazio che sta tra gli incubi e il risveglio.
Suoni ossessivi e allarmanti, placati da momenti poetici che arrivano
come balsamo in un’alternanza ideale tra paure e reazione, ma
senza false illusioni. La ballata triste Time Machine è un
esempio di questo, col ritornello finale “Time will heal nobody”.
Mentre le sferragliate dissonanti possono essere apprezzate in tutta
la loro tensione in brani come The Light Keeper. L’escursus
musicale termina con l’epica Nobody Knows, che suggella un lavoro
dal respiro internazionale.
Un disco intenso e profondo, che mostra come sia ancora possibile
fare musica creativa e sempre interessante. The Dream In Which I Die
è uno di quegli album che veramente richiedono più ascolti
per essere interiorizzato. Crudelmente bello. GB
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