| Mi sono perso il debutto del 2010 di questo progetto capitanato da 
            Kevin Lawry (voce, chitarra, basso e tastiere), che è coadiuvato 
            dal batterista Darin McCloskey e da Brian Anthony al mellotron, e 
            dopo il primo ascolto del presente sequel mi vien voglia di recuperare 
            anche il capitolo precedente. La band propone un dark prog di grande 
            suggestione, non ci sono molte band in questo campo, ma quelle che 
            conosciamo sono quasi sempre notevoli, tra i nomi più recenti 
            penso agli Orne e al debutto dei Northwinds, per il passato penso 
            possano bastare Atomic Rooster e Van Der Graaf Generator.
 
 A Vortex of Earthly Chimes è costruito su cinque lunghi brani 
            molto epici, dove le note plumbee ai limiti del doom si mescolano 
            a partiture complesse ed affascinanti, un mix fra primi Black Sabbath 
            e i Camel. Le chitarre sature fanno da contraltare a partiture complesse 
            e coinvolgenti, il senso drammatico generale poi è amplificato 
            dal mellotron, che regala momenti di pura estasi musicale. “Ride 
            the Storm” poi lungo i suoi dodici minuti ha dei momenti di 
            vera magia, come verso il finale, dove entra una linea melodica carica 
            di nostalgia e di visioni celtiche. Molto sabbathiano l’incipit 
            di “Watch the Waves”, ma c’è molto di più 
            e il turbine sonoro che scaturisce è da colpo al cuore per 
            tutti gli amanti delle sonorità plumbee, il brano più 
            dark del lotto. Leggermente più metallico risulta “World 
            Spins Out of Key”, che è il più conciso del disco, 
            limitandosi a poco meno di sei minuti, ma concentra nel tempo a disposizione 
            una sufficiente quantità di idee per soddisfare comunque la 
            nostra fame. Ancora meglio è “Winter Slumber”, 
            dominata da un bel giro ipnotico, molto coinvolgente. A sorpresa l’avvio 
            dell’ultima traccia “Given Time” suona un po’ 
            di già sentito e l’impatto non è quello sperato, 
            però dopo circa di un minuto e mezzo il pezzo prende personalità 
            e l’errore iniziale si stempera in atmosfere ancora una volta 
            suggestive.
 
 Il dark rock è un genere per veri cultori e non sarà 
            mai una musica di massa, ma quelli che si lasciano affascinare da 
            queste sonorità sanno godere la musica fino in fondo, perché 
            le tonalità dark ti entrano nell’anima. A tutti questi 
            dico che il presente disco è assolutamente da avere, non resterete 
            delusi. GB
 
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