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            delle cose che mi piacciono di più da quando ho iniziato a 
            scrivere è vedermi arrivare dei cd da gruppi che non conosco 
            di paesi lontani e che non hanno distribuzione in Italia, ma alle 
            spalle tanta passione che vogliono condividere con uno scribacchino 
            come me, che nonostante tutto è sempre in cerca di nuove emozioni. 
            Gli americani Chester Rockwell sono proprio una di queste band che 
            crede ancora nella musica. Nei sei anni di vita hanno prodotto tre 
            album e alcuni singoli, questi che recensiamo sono il secondo e il 
            terzo album. La musica di questa band è molto varia e poco 
            definibile, per lo più si tratta di un prog moderno, con influenze 
            indie e post rock, ma anche queste definizioni non rendono abbastanza 
            l’idea di cosa propone questa band che risulta davvero molto 
            originale e fuori dagli schemi.
 Le strutture armoniche sono complesse anche se non c’è 
            una ricerca voluta della complessità, infatti sono mediate 
            da belle melodie vocali. Si alternano momenti onirici a belle ballate 
            dal sapore pop evoluto, ma ogni tanto compare anche qualche riff elettrico 
            di chitarra a surriscaldare gli animi. È un prog carico di 
            tensione e di suggestioni quello di questi quattro musicisti, che 
            suonano in piena libertà e senza rifarsi a modelli precisi. 
            Gli album superano di poco i quaranta minuti, come ai bei vecchi tempi 
            e non c’è un minuto per distrarsi, la musica cambia come 
            le immagini di un caleidoscopio e si susseguono senza sosta le immagini 
            sonore disegnate da questi quattro visionari del prog rock.
 
 Vs. The World si apre con un temporale, nei film americani quando 
            piove c’è sempre una scena triste, c’è sempre 
            qualcosa che va storto, per i Chest Rockwell questo temporale prelude 
            ad una musica malinconica, ma che è dotata anche di una complessità 
            ritmica molto intrigante, un tappeto armonico che sa di classico prog 
            sinfonico e dei suoni moderni, con tempi mai scontati o banali. Lo 
            spessore poetico della musica dei Chest Rockwell è davvero 
            molto alto, non è una poetica bucolica, ma contemporanea, che 
            ha umori talvolta nervosi e aggressivi come questo tempo moderno, 
            accostati a belle melodie, sembra quasi un incrocio fra i primi Genesis 
            e i Radiohead, ma senza assomigliare a nessuno dei due. L’album 
            è davvero incantevole e non c’è un brano sotto 
            la media. Davvero sorprendente nelle sue intuizioni e molto bello.
 
 Total Victory segue le traccie dell’album precedente, ma è 
            più maturo e costruito, molto bello il brano iniziale “Being 
            an Able Man”, che pone subito l’attenzione sull’abilità 
            compositiva di questa band. “2 Pumps Away” ha delle ritmiche 
            sorprendenti, a livello vocale c’è qualche sbavatura, 
            ma le parti strumentali sono notevoli. Il disco è diviso in 
            parti, nella seconda il gruppo tira fuori i muscoli e arrivano sfuriate 
            in “Body Prop”, i due brani successivi che hanno lo stesso 
            nome sono meno aggressivi, ma la tensione rimane sempre alta. Ma il 
            vero gioiello del disco è “11 Is the New 7”, un 
            brano che sono convinto metterà d’accordo molti appassionati 
            di prog. Il disco si conclude con altri due brani sempre molto interessanti.
 
 Questi Chest Rockwell senza tanti mezzi alle spalle hanno dato vita 
            ad un prog veramente coinvolgente e dimostrano, come hanno fatto ad 
            esempio i grandissimi Echolyn, che anche dall’America possono 
            arrivare ottimi gruppi di questo genere. GB
 
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