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            Mi piace scegliere 
            nella bella discografia della band di Vercelli, Il Castello Di Atlante, 
            il disco d’esordio (senza considerare il singolo del 1983 “Semplice…Ma 
            Non Troppo”), perché come in tutti questi casi, gli albori 
            hanno un fascino davvero particolare. La band di Roberto Giordano 
            si forma nel lontano 1974, proprio per questo le basi strutturali 
            si ergono su influenze Genesis, Yes, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, 
            ma anche sopra quel New Prog che ha riportato in auge il genere negli 
            anni ‘80. La band è composta da Aldo Bergamini (alla 
            chitarra), Massimo Di Lauro (al violino), Paolo Ferrarotti (alla batteria) 
            e Dino Fiore (al basso), questi sono i "soci fondatori", 
            mentre Roberto Giordano (alla tastiera) è nella band a partire 
            dal 1982.
 Il New Prog si presenta subito all’ascolto di “Tirando 
            le Somme”, con quell’incedere Marillioniano era Fish, 
            che piace per emotività e semplicità. Le tastiere inevitabilmente 
            sono al centro dell’attenzione e non esulano cambi di tempo. 
            La band si muove bene all’unisono e questo è il frutto 
            delle serate passate a suonare dal vivo negli anni, memorabili le 
            date fatte al Nord Italia con rappresentazioni anche visive e teatrali 
            dei concerti. E’ inevitabile l’accostamento ad altre band 
            nostrane dei tempi che furono, come Quella Vecchia Locanda, questo 
            per l’uso del violino da parte di Massimo Di Lauro. Esso riesce 
            ad impreziosire il suono e ben si districa assieme alle onnipresenti 
            tastiere di Roberto. “La Foresta Dietro Il Mulino Di Jhoan” 
            è un brano lungo e ricco di spunti Progressivi, dove la mente 
            spazia fra i suoni dall’antico profumo e qui sono i Genesis 
            a comparire più volte. “Il Saggio” con voce e violino 
            in evidenza, attinge a piene mani nel vascone degli anni ’70, 
            quelli però delle band nostrane. Soffice e delicata negli interventi 
            di piano alla Nocenzi. Il ritmo sale stile PFM con “Semplice 
            Ma Non Troppo”, divertente e solare, come tutta la nostrana 
            mediterraneità. Il violino si diverte a scorrazzare in questo 
            strumentale davvero energetico. Bello anche il lavoro al basso di 
            Fiore. L’atmosfera torna riflessiva in “Il Pozzo”, 
            medievaleggiante stile Branduardi, il che non guasta, in quanto spezza 
            l’ascolto, rendendo il disco più fruibile nell’insieme. 
            Giochi di coralità in “Non C’è Tempo” 
            e a me torna alla mente quella grande band degli anni ‘60/70 
            dal nome Giganti. “Estate” è un pezzo stupendo, 
            quasi otto minuti di pianoforte dedicati agli animi sensibili, mentre 
            “Il Vessillo Del Drago” chiude più che degnamente 
            questo cd d’esordio.
 
 Non mancano comunque pecche ed ingenuità, magari una produzione 
            migliore avrebbe reso giustizia a questo album che non sfigura di 
            certo in mezzo a molti altri classici del periodo anni ’90. 
            Come dicevo all’inizio, il fascino dell’esordio è 
            un qualcosa che si percepisce nell’aria, c’è una 
            freschezza differente, quella data dall’amore per la musica, 
            quando la si suona per il proprio piacere. Bravi davvero. MS
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