Rock Impressions
 

Intervista a Luca Carboni
Di Giancarlo Bolther

Ciao Luca, visto che ci siamo conosciuti sul set del video di “Le Band” (nda. in cui faccio una piccola comparsa) volevo chiederti come era nata l’idea di far ruotare vari gruppi?
È stata una mia idea, volevo un video che cercasse di rappresentare un po’ le band come idea. All’inizio pensavo di fare un video con il mio gruppo, con delle finestre (tecnicamente delle “blue back”) sulla testa e sulla mente, dove si succedevano delle immagini che ciascuno porta dentro di se. Poi, pian piano, ripensandoci, un giorno mi è venuta l’idea di giocare un po’ con varie band e ho iniziato a cercarle.

Tu conoscevi personalmente i gruppi che hanno suonato nel video?
Sinceramente no. Il fatto che il regista e la casa di produzione siano di Verona e che il video sia stato girato là ha portato a scegliere gruppi della zona, altrimenti io avrei preso dei gruppi dell’area di Bologna, anche se poi il cerchio si è allargato e sono arrivati anche un paio di gruppi Reggiani. In pratica è stata la produzione a selezionare i gruppi, poi ci mandavano le foto per la nostra approvazione. Alla fine è venuto molto originale, molto bello, vedrai.

Facciamo un passo indietro, com’è nato questo tuo ultimo disco, era un po’ che non ti facevi vivo sul mercato con un nuovo lavoro…
Il disco è nato in modo molto spontaneo e, tecnicamente, anche in un tempo molto breve, due anni fa, tra l’inizio di dicembre e Natale avevo scritto tutte le canzoni di questo disco. Quindi le canzoni sono nate tutte in un tempo molto breve, una vicina all’altra. Però in quel periodo nel panorama italiano non trovavo dei produttori che fossero in sintonia con quello che avevo in mente, così ho pensato di provare a produrre completamente io il disco e ad occuparmi anche delle tastiere, a seguire gli arrangiamenti e tutto il resto, utilizzando comunque anche la band che suona con me nei concerti… e questo è stato un percorso abbastanza lungo, ecco perché poi ci ho messo quasi due anni per finirlo, questo è dipeso dal fatto che è stata la prima volta che mi occupavo in prima persona della produzione. Sono partito con alcuni brani, provavo un arrangiamento, poi lo rivedevo, tornavo indietro… Alla fine sono rimasto molto contento di come sono andate le cose, perché è venuto proprio come l’avevo in mente. Poi se possa piacere alla gente si vedrà, anche da come andrà il tour. È stata anche un’esperienza che mi ha arricchito molto, sia da un lato tecnico che musicale, ho usato molta tecnologia, il computer… quindi è stata un’esperienza interessante anche tecnicamente.

Mi sembra di poter dire comunque che questo tuo nuovo disco conferma la tua linea personale fatta di brani malinconici, di una sottile ironia che usi per punzecchiare i costumi della società di oggi, come del resto hai sempre fatto e poi c’è anche molto romanticismo… fra tutte queste tue anime, malinconica, romantica, ironica, qual è quella che ti rappresenta meglio?
Io penso che hai colto le tre situazioni che, a ruota, escono sempre e credo che alla fine mi rappresentino tutte e tre. Tra l’altro anche i brani che mi hanno fatto conoscere non sono stati tutti dello stesso tipo, ad esempio “Farfallina” era una canzone romantica e malinconica al tempo stesso, “Silvia lo Sai” che era sullo stesso disco era malinconica, un anno dopo arrivarono “Ci Vuole Un Fisico Bestiale” e “Mare Mare” che evidenziavano la mia vena più rock e ironica. Quindi penso che la gente mi associ un po’ a tutti e tre questi mondi, anche chi non conosce in modo approfondito la mia storia però si ricorda almeno di “Farfallina” e di “Ci Vuole Un Fisico Bestiale”, due mondi apparentemente lontani fra di loro. Quindi penso mi rappresentino tutte e tutte vengono sempre fuori quando faccio un nuovo album.

Nel brano “È Caduta una Stella” c’è una verso dove dici “canto canzoni di Chiesa”, questa frase mi ha un po’ colpito, perché generalmente gli artisti italiani si tengono tutti un po’ in disparte dal discorso “fede”, tu che rapporto hai con la fede?
Io ho raccontato spesso del mio rapporto con la fede a volte in modo più forte di altri, ma penso che ci sia un motivo per cui gli artisti prendano questo distacco, che non è un distacco dalla fede, solitamente l’arte ha a che fare con la fantasia e quindi è difficile mettere in un’opera d’arte qualcosa di dottrinale, lo stesso vale per la politica, che è entrata più spesso nella musica, ma per me questo è un po’ un limite. Sono discorsi che si possono fare nelle interviste, oppure può uscire una frase che apre ad un mondo, ma fare una canzone “religiosa” diventa una cosa riduttiva, per me è tra le righe che si devono leggere certe cose e non in modo esplicito, se no non è più un’opera, ma un’operazione di dottrina. A me piace che l’arte sia molto libera e che giochi con la fantasia.

A proposito della politica volevo farti una domanda su questo settore, perché in Italia spesso gli artisti sono stati in qualche modo associati all’impegno politico, in particolare di sinistra, siccome mi è parso che tu non ti sia mai schierato da una parte o dall’altra…
Assolutamente, lo raccontavo anche nel libro che ho scritto insieme a Massimo Cotto (ndr. Segni del Tempo, Aliberti Editore), dove c’è questa intervista approfondita e raccontavo che il mio modo di fare politica è di essere libero e di poter dire quello che penso. La politica ha già una sua grande dimensione di comunicazione, non ha bisogno di essere ulteriormente amplificata, ci possono essere dei periodi storici dove c’è bisogno che questo avvenga, però in una situazione normale la politica ha già talmente tanti canali, che mi sembra quasi assurdo andarla ad impiantare come argomento principale all’interno di una canzone. Una canzone può essere politica, nel senso più ampio, raccontando delle altre cose e non le ideologie, deve sempre mettere al primo posto l’uomo e la fantasia, insieme al centro. Ma questo non vuol dire essere distratti o qualunquisti, è un senso di libertà. Poi un altro rischio è quello di essere strumentalizzati e di diventare la voce di un partito o di un movimento e allora non si sarebbe più liberi.

Questo tuo carattere schivo e discreto ti ha creato delle difficoltà nel mondo dei mass media?
No, anzi! Devo dire che questo mio carattere schivo mi ha permesso di essere ancora qui a fare della musica, di scrivere e di fare dischi dopo ventitre anni che sono in questo settore. Certamente non ho una grande amplificazione ogni volta che faccio qualcosa, ma molte volte chi ce l’ha si brucia anche in tempi molto brevi, perché alla fine non parlano più della tua opera, ma di te e sono cose che prima o poi stancano. Quindi credo che, nonostante tutto, questa mia autodifesa di privacy e di riservatezza mi abbia più aiutato che danneggiato. Forse in qualche momento specifico avrei potuto avere più pubblicità, però così sono durato nel tempo. Il rischio è di essere fagocitato dai media, di essere utilizzato e poi buttato.

Il tuo riferimento ai ventitre anni di carriera mi ha fatto pensare che hai iniziato a muovere i primi passi nel periodo del punk, com’era la situazione musicale a Bologna in quegli anni?
Era veramente una situazione molto forte e molto sentita, era pazzesca. Bologna è una realtà molto particolare, perché l’Università attira studenti da tutta l’Italia, ma è pur sempre una città relativamente piccola e ci si conosce ancora. È stato un momento molto intenso, da un lato c’era il mondo della politica che era in fermento, nascevano i primi movimenti “autonomi”, c’era l’occupazione delle scuole di pomeriggio. In quegli anni in ogni cantina del centro c’era una band che suonava, si mischiava l’arte, la politica, il sociale senza un confine ben preciso, dove sembrava tutto figlio di uno stesso movimento, ma in realtà erano cose abbastanza autonome, che sembravano tutte dentro ad una stessa famiglia. Tutta questa atmosfera io l’ho subita, soprattutto da un punto di vista più creativo che politico, un’attenzione verso il sociale, tutta questa fase creativa mi ha fatto desiderare di avere una band, di suonare, per me è stato determinante vivere quel momento lì a quattordici anni.

Infatti hai avuto il tuo gruppo che erano i Teobaldi Rock, che musica facevate?
Esatto. C’erano due anime nel gruppo, io ero uno degli autori ed ero molto influenzato, in un primo momento, dagli Skiantos, una cosa che mi è rimasta e che emerge in tutti i miei giochi ironici, tutte le volte che faccio un brano veloce mi viene di essere un po’ ironico, ai limiti del non sense, come nel pezzo di cui abbiamo fatto il video (ndr. “Le Band”) o com’era “Ci Vuole Un Fisico Bestiale” o “Inno Nazionale”. Eravamo duri e ironici, ci piaceva lanciare delle frecciate, ma uscivano un po’ casualmente, quasi senza volerlo, mi piaceva molto come linguaggio. Gli Skiantos avevano un altro tipo di linguaggio e usavano molto di più l’ironia e questo mi ha condizionato molto, erano un gruppo punk che ironizzava sul punk, erano volutamente infantili, infatti si definivano “dementi”. Allo stesso tempo sentivo anche la grandezza di certi cantautori, che mi emozionavano molto, come De André o Dalla, così ho cercato di far convivere in modo personale questi due mondi, quello più poetico e quello più ironico.

Tu ti definiresti come un cantautore “rock”?
Negli anni ottanta, per i primi due album ero proprio definito così. Ricordo una copertina di Ciao 2001 dove dicevano che facevo “rock d’autore”, che ero un punto d’incontro fra i cantautori e il mondo del rock e all’epoca ero molto orgoglioso di questa definizione che mi avevano dato. Anche se non avevo più la band mi piaceva che questo senso rock fosse rimasto nella mia musica, anche se, senza la band, il tutto si era un po’ annacquato nella mia voglia di cercare nuove strade. Comunque una parte di rock è sempre stata dentro alla mia musica.

Non hai mai pensato di ripubblicare quelle canzoni che avevi fatto con i Teobaldi Rock?
Si, ci ho pensato e mi piacerebbe molto, però nella band non cantavo io e se adesso pubblicassi quelle canzoni cantate da me sarebbe un po’ come un’usurpazione rispetto alla vera storia che c’è stata. Se ci fosse il vero cantante forse non interesserebbe a nessuno, perché adesso lui fa l’avvocato e probabilmente non ha nessuna voglia di mettersi in ballo sulla musica e credo che nemmeno le case discografiche sarebbero interessate, quindi a volte ci penso perché avevamo fatto delle canzoni bellissime, che mi piacerebbe fare conoscere, valorizzarle, però bisognerebbe trovare la formula giusta. Sai erano pezzi particolari e venivano in un certo modo anche perché il cantante aveva una sua voce, il mio non riproporle è anche un senso di rispetto.

Qual è il disco della tua discografia a cui sei più legato?
Il primo per me ha un valore specialissimo, perché è stato quello che mi ha permesso di iniziare questa carriera e di vivere la musica come realtà. Poi per essere un primo album ha avuto anche un discreto successo. Quindi credo che il primo disco “non si scorda mai”!

Ascolti musica di gruppi rock stranieri?
Io sono sempre stato un maniaco dell’Inghilterra, piuttosto che del rock americano, anche se ho amato le cose un po’ più innovative che venivano dall’America negli anni ottanta, però di base sono sempre stato filo europeo, in particolare filo inglese, più attento a quello che succedeva li, anche oggi con gruppi come i Radiohead, i Coldplay… Mi piace un rock legato alla forma canzone, di tipo quasi cantautorale, dove la canzone rimane comunque al centro, ma arricchita da suoni e modi di suonare particolari. Per me una delle più belle novità uscite in questi anni è stato il primo disco dei Coldplay.

Io li ho trovati molto simili agli Echo and the Bunnymen, una formazione inglese dei primi anni ottanta…
Si, piacciono anche a me. È chiaro che questi sono dei ragazzi che si sono alimentati con quello che è avvenuto negli anni che vanno dal ’78 all’85. Poi a me piacevano molto anche gli Smiths (ndr. anche a me), che erano un po’ rock e un po’ dark romantici. Mentre in America un riferimento sono i primi REM, che hanno la nostra età, intendo che avrebbero la stessa età dei Teobaldi Rock se fossero andati avanti.

Quindi se tu dovessi scegliere alcuni dischi rock che ogni tanto riascolti volentieri?
Partirei da Made in Japan dei Deep Purple, che da ragazzino mi entusiasmava, poi Non Ho Sonno degli Skiantos che è un disco che mi ha condizionato molto, il primo disco rude di rock italiano. Andando ancora indietro, mi piaceva molto Live In USA della PFM, che è stato molto importante per la musica italiana, quando abbiamo iniziato a prendere in mano gli strumenti si pensava a questi italiani che erano arrivati a suonare in America a mostrare oltreoceano il loro talento e questo ti faceva sognare. Poi fra i miti giovanili ci sono stati gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, che sono stati i miei primi approcci musicali importanti, prima di scoprire un rock più grezzo.

Ti ringrazio per questa piacevole intervista…
Grazie a te Giancarlo e mi raccomando guarda il video appena esce e fammi sapere come ti è parso, ciao!

Google
Web www.rock-impressions.com

Indietro all'elenco delle Interviste

| Home | Articoli | Recensioni | Interviste | News | Links | Rock Not Roll | Live | FTC | MySpace |