| Joey Cape, leader di formazioni punk rock americane come Lagwagon 
            e Bad Astronaut, si presenta al pubblico con questo suo primo disco 
            solista, un album interamente acustico, che ha avuto una lenta gestazione. 
            Il titolo del disco ovviamente non è casuale, ma vuole essere 
            un “ponte” tra il passato dell’artista e il suo 
            futuro, proprio per questo le sonorità non sono quelle punk 
            a cui Cape aveva abituato i suoi fans, piuttosto in questo album respiramo 
            un’aria di sano rock acustico molto folk, pensate ad artisti 
            come Neil Young o il grande Bob Dylan, ovviamente coi dovuti distinguo 
            del caso.
 
 Le dodici canzoni che compongono l’album sono delicate istantanee 
            di vita americana, Joey dimostra avere una profonda sensibilità 
            e un grande gusto e ci regala dei momenti magici. Ovviamente è 
            musica poco radiofonica e poco moderna, non c’è la batteria, 
            a parte la chitarra acustica del nostro non si sente molto altro e 
            questo ha un’aura incantata, una forza espressiva particolare, 
            come hanno certe foto in bianco e nero. I titoli scorrono senza cali 
            di tensione e senza picchi, ma seguendo un andamento regolare, come 
            un lungo viaggio su una “route” in compagnia dei propri 
            ricordi e con gli occhi liberi di correre lungo panorami incontaminati. 
            Questo è Cape Joey, un artista che ha fatto una scelta sicuramente 
            coraggiosa e che è difficile prevedere dove lo porterà. 
            L’unica sorpresa arriva con l’ultimo brano “Home” 
            che a metà pezzo riprende il riff elettrico di “God Save 
            the Queen” dei Sex Pistols.
 
 Bridge è un bel disco, che dimostra la passione di Cape per 
            la musica rock, un disco che piacerà molto ai cultori di questo 
            genere. GB
 
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