Le
autoproduzioni nell’intricato mondo musicale del 2000 sono davvero
tante. Ricordo con una certa nostalgia gli anni ’70 e ’80,
quando uscivano davvero poche realizzazioni e generalmente di bassa
qualità. La mia nostalgia è legata all’età
ovviamente, perché i demo con il passare degli anni crescono
di professionalità (addio vecchia cassetta). Tutto questo è
legato allo sviluppo della tecnologia, la quale rende possibile attraverso
il PC ed i suoi programmi , la realizzazione di prodotti sonori più
che discreti. Il suono dunque guadagna, ma se la creatività
non c’è… non è di certo il PC che te la
regala. In parole povere, nel calderone delle numerosissime uscite
autoprodotte è difficilissimo imbattersi in ottimi lavori.
Proprio qui che l’esistenza di Webzine come la nostra e di certe
riviste musicali, è importante. Far conoscere le band meritevoli
è dovere, ma soprattutto per quello che riguarda il sottoscritto
anche un piacere.
Con i Cabaret Sauvage mi ritrovo davanti ad una gradevole sorpresa,
il loro primo demo dal titolo “Studio”, raccoglie in se
sei piccoli brani di una durata media di poco più di tre minuti,
tutti piacevoli. La band nasce nel 2006 a Torino, composta da Umberto
(voce, chitarra, armonica), Federico (voce, percussioni), Simone (chitarra).
Si dedicano molto alle serate live, di certo i ragazzi non stanno
sin da subito con le mani in mano. Arrivano anche a vincere il premio
della critica del concorso “Massimo Ascolto” indetto da
La Stampa.
“Studio” è il loro primo demo, ricco di dolci armonie
dal sound “americaneggiante” alla Johnny Cash per intenderci,
miste anche al suono commerciale di certi Beatles. Belle le chitarre
in “I’ve Found Myself”, un pezzo che trascina la
fantasia di chi lo ascolta, verso lunghe strade battute dal sole ed
accarezzate dalla sabbia, mossa dal vento di certi paesaggi americani.
Nessuna sperimentazione, ma buona personalità ed uno spiccato
senso per l’armonia. Ancora più Blues la successiva “Part
Of My Dream”, con le solite chitarre in cattedra. I ragazzi
colpiscono nel segno con semplicità, senza alzare mai la voce,
giocando direttamente con il feeling dell’ascoltatore. “Driving
Home” sembra uscita direttamente dagli anni ’60 e la voce
leggermente nasale ricorda molto quella di Steven Wilson dei Porcupine
Tree. Anche “One Day Bifore” ci fa dondolare al ritmo
della sua musica, delicata e sorretta dalle ottime coralità
di Umberto e Federico. Una menzione a parte merita la conclusiva “Cabaret
Sauvage”, una dolcissima nenia strumentale semplice e disarmante.
Questi Cabaret Sauvage hanno dimostrato di possedere solide basi su
cui costruire, Di certo questo è il piede giusto con cui partire,
ma per uscire dal caos di questa odierna giungla musicale serve qualcosa
di più. Non è facile farsi notare oggi, serve coraggio,
magari anche a rischio di intraprendere una scelta impopolare, comunque
sia la delicatezza della loro musica a me piace. Ora sono curioso
di attendere le future evoluzioni. Promossi. MS
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