Rock Impressions

Cabaret Sauvage - Studio CABARET SAUVAGE - Studio
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Rock Blues
Support: CD - 2007

Le autoproduzioni nell’intricato mondo musicale del 2000 sono davvero tante. Ricordo con una certa nostalgia gli anni ’70 e ’80, quando uscivano davvero poche realizzazioni e generalmente di bassa qualità. La mia nostalgia è legata all’età ovviamente, perché i demo con il passare degli anni crescono di professionalità (addio vecchia cassetta). Tutto questo è legato allo sviluppo della tecnologia, la quale rende possibile attraverso il PC ed i suoi programmi , la realizzazione di prodotti sonori più che discreti. Il suono dunque guadagna, ma se la creatività non c’è… non è di certo il PC che te la regala. In parole povere, nel calderone delle numerosissime uscite autoprodotte è difficilissimo imbattersi in ottimi lavori. Proprio qui che l’esistenza di Webzine come la nostra e di certe riviste musicali, è importante. Far conoscere le band meritevoli è dovere, ma soprattutto per quello che riguarda il sottoscritto anche un piacere.

Con i Cabaret Sauvage mi ritrovo davanti ad una gradevole sorpresa, il loro primo demo dal titolo “Studio”, raccoglie in se sei piccoli brani di una durata media di poco più di tre minuti, tutti piacevoli. La band nasce nel 2006 a Torino, composta da Umberto (voce, chitarra, armonica), Federico (voce, percussioni), Simone (chitarra). Si dedicano molto alle serate live, di certo i ragazzi non stanno sin da subito con le mani in mano. Arrivano anche a vincere il premio della critica del concorso “Massimo Ascolto” indetto da La Stampa.

“Studio” è il loro primo demo, ricco di dolci armonie dal sound “americaneggiante” alla Johnny Cash per intenderci, miste anche al suono commerciale di certi Beatles. Belle le chitarre in “I’ve Found Myself”, un pezzo che trascina la fantasia di chi lo ascolta, verso lunghe strade battute dal sole ed accarezzate dalla sabbia, mossa dal vento di certi paesaggi americani. Nessuna sperimentazione, ma buona personalità ed uno spiccato senso per l’armonia. Ancora più Blues la successiva “Part Of My Dream”, con le solite chitarre in cattedra. I ragazzi colpiscono nel segno con semplicità, senza alzare mai la voce, giocando direttamente con il feeling dell’ascoltatore. “Driving Home” sembra uscita direttamente dagli anni ’60 e la voce leggermente nasale ricorda molto quella di Steven Wilson dei Porcupine Tree. Anche “One Day Bifore” ci fa dondolare al ritmo della sua musica, delicata e sorretta dalle ottime coralità di Umberto e Federico. Una menzione a parte merita la conclusiva “Cabaret Sauvage”, una dolcissima nenia strumentale semplice e disarmante.

Questi Cabaret Sauvage hanno dimostrato di possedere solide basi su cui costruire, Di certo questo è il piede giusto con cui partire, ma per uscire dal caos di questa odierna giungla musicale serve qualcosa di più. Non è facile farsi notare oggi, serve coraggio, magari anche a rischio di intraprendere una scelta impopolare, comunque sia la delicatezza della loro musica a me piace. Ora sono curioso di attendere le future evoluzioni. Promossi. MS


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