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            le uscite dello scorso anno che mi hanno colpito di più ci 
            sono stati sicuramente questi Beardfish col primo capitolo di questa 
            bizzarra saga, ho così scoperto che la Svezia non ha ancora 
            finito di stupirci con i suoi gruppi, annoverati sempre fra le realtà 
            più interessanti in vari generi musicali. Del resto anche i 
            primi album del gruppo si erano fatti notare negli ambienti degli 
            appassionati di prog, nonostante fossero poco distribuiti. Ma veniamo 
            al disco che è lungo e molto ricco, quindi merita di essere 
            approfondito.
 Dopo un breve intro dal sapore elettronico ecco che parte la frizzante 
            “Into the Night”, caratterizzata da linee vocali splendide, 
            che ricordano i fasti del passato, nel senso che sono composte con 
            quel gusto ricco e fantasioso di un tempo, vagamente Yes, con qualcosa 
            anche di Elton John, mentre le strutture musicali sono complesse e 
            intricate, le tastiere sono pompose e neo classiche, il resto è 
            decisamente rock, il risultato dell’insieme del tutto risulta 
            intrigante e appagante. Poi verso il finale il brano cambia repentinamente 
            atmosfere e situazioni, ricordando perfino qualcosa dei Gong e dei 
            Gentle Giant. Ma i rifermenti vanno presi solo come traccia, perché 
            i Beardfish dimostrano di avere personalità da vendere. Se 
            il primo disco proponeva la giornata della vita del personaggio preso 
            a riferimento della storia racchiusa nell’album, questo secondo 
            capitolo (che dovrebbe concludere la storia) racconta la parte notturna, 
            ecco allora la musica farsi più misteriosa e crepuscolare, 
            con il basso in grande spolvero. “The Hunter” è 
            una grande rock song, pervasa di tensioni progressive e ricca di parti 
            soliste, ma con un impianto apparentemente semplice, in realtà 
            è piena di sfumature, spettacolari in particolare le parti 
            di hammond, ma ancora il basso si fa notare. “South of the Border” 
            chiama in causa le visioni di Zappa, inerite in un contesto hard prog 
            molto divertente, che verso il finale assume dei connotati teatrali 
            molto spiccati. Teatrale e circense è anche la stralunata “Cashflow”, 
            con ancora echi dei Gong. “The Downward Spiral / Chimay” 
            è un prog più classico, ma ci sono sempre dei lampi 
            di genio. La title track è una suite di ben oltre mezz’ora, 
            impossibile da descrivere questo brano epico e pieno zeppo di suggestioni, 
            una super abbuffata di tutto quello che ogni buon fan del prog può 
            desiderare e i nostri sono così fuori di testa che ad un certo 
            punto fanno persino il verso a “Staying Alive”, proprio 
            quella dei Bee Gees e di un certo John Travolta… scherzi progressivi! 
            Il finale del pezzo poi è da panico. Chiude un brano breve, 
            che ha il sapore delle musiche giapponesi tradizionali, una piccola 
            parentesi di poesia dopo gli eccessi dei brani precedenti.
 
 Che dire di più? Una giovane ma già grande band con 
            un nuovo grande album, dove il prog pulsa fresco e vitale e non dimostra 
            minimamente i lunghi anni di vita alle spalle… e gli appassionati 
            ringraziano. GB
 
 Altre recensioni: Sleeping in Traffic: Part 
            One; Destined Solitaire; The 
            Void
 
 Intervista: 2008
 
 Live Reportage
 
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