Con questo album abbiamo un doppio debutto, nasce la Doom Symphony, 
            ramo della più nota Underground Symphony, dedito al metal a 
            tinte forti e funeree, e si propongono sul mercato i veronesi All 
            Souls’ Day. 
             
            L’unico nome a me noto della formazione è quello del 
            batterista Walter Mantovanelli per aver preso parte ad uno degli ultimi 
            “Container” di Paul Chain, mentre il leader della formazione 
            risponde al nome del polistrumentista Andrea Picchi, che ha anche 
            composto tutti i pezzi e curato registrazioni e missaggi. Il gruppo 
            però fonda le sue radici nel 1990, a seguito dello scioglimento 
            degli Epitaph (da non confondere col gruppo tedesco degli anni settanta) 
            autori del demo “The Lord of Evil”, ma della prima formazione 
            è rimasto solo il Picchi. Negli anni si sono susseguiti vari 
            cambi di formazione, un travaglio che a quanto pare dura ancora oggi, 
            visto che il singer Alberto Caria ha appena lasciato il gruppo, che 
            è in cerca di un sostituto. 
             
            Per chi non avesse familiarità con il nome del gruppo dirò 
            che in italiano la traduzione suona come il “giorno di tutti 
            i morti” che la Chiesa celebra il 2 novembre. L’immagine 
            mesta di questa ricorrenza non poteva essere più azzeccata 
            per dare subito un’idea precisa sul genere proposto dalla band, 
            un lento doom molto ossianico e sofferto. Brani dilatati che in un 
            paio di casi superano abbondantemente i dieci minuti, un sound che 
            ricorda Trouble e Candlemass e ovviamente anche i primi Black Sabbath 
            e il già citato re italiano del doom Paul Chain. In chiusura 
            troviamo un assaggio di un nuovo brano e una traccia elettronica nascosta 
            alla fine, che mi ha lasciato un po’ perplesso, non per la qualità 
            ma per la lontanaza da quanto proposto in precedenza essendo un gothic 
            ballabile. Alcuni pezzi sono convincenti come l’ottima e tormentata 
            “A Mortal Day”, ma il songwriting mi è sembrato 
            un po’ troppo statico, con dei canoni che si ripetono con una 
            certa frequenza. 
             
            Il genere proposto da questa band ha spesso la tendenza a ripetere 
            certe soluzioni, nonostante questo trovo che Into the Mourning sia 
            un ottimo debutto e che con un po’ di esperienza in più 
            questi ragazzi potrebbero fare dei lavori significativi in un genere 
            che ha dimostrato una longevità sorprendente. GB 
             
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