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            suggestivo per questo terzetto veronese al debutto discografico, che 
            ci propone questo disco che lascia ben pochi dubbi sulle scelte artistiche 
            proposte. Si tratta di desert rock, di stoner, con una spiccata vena 
            teatrale che racconteremo meglio nel prosieguo della recensione.
 Il cd si apre con un recitato, la voce poteva essere scelta meglio, 
            ma ci cala subito in un’atmosfera desertica da vecchio film 
            western e ci si immagina di ascoltare una musica alla Morricone, invece 
            “Intro” è un brano ruvido, come un “torcibudella” 
            da vecchio saloon, di quelli che ingrassano il catarro e… beh 
            il resto lo sapete. Stoner di ottimo livello, saturo e viscerale, 
            senza cedimenti. “Intermission” è più veloce 
            ed heavy, buono il riff portante, siamo sempre in ambito stoner, con 
            un bel tiro davvero. “Desolated Man” è un brano 
            complesso, il gruppo fa sentire tutta la propria preparazione, c’è 
            un buon groove e tanta energia. La desolazione di certi paesaggi messicani 
            arriva con gli arpeggi acustici di “First Day, Jen… When 
            I See You” piuttosto ispirati, che in qualche modo continuano 
            nella incalzante “A Dreamer on the Moon”, che ha un giro 
            concentrico divertente, meno riuscite sono le linee melodiche vocali, 
            ma poi il brano subisce un’accelerazione improvvisa e tutto 
            funziona a dovere. Il disco è diviso in due atti ed ecco un 
            nuovo intermezzo di collegamento con una scena che si svolge proprio 
            in un saloon abitato da personaggi inquietanti, proprio come una vera 
            storia mexicana e parte “Mariachi Song”, un breve brano 
            acustico triste, denso di una malinconia che accarezza le note più 
            intime dell’animo. Giusto una pausa prima della tribale “Wah 
            Wah”, un vero inno heavy doom. È il momento di “Precarious 
            Hollywood” che è ancora più doom col suo giro 
            che si avvolge attorno all’ascoltatore come le spirali di un 
            serpente, poi tutto si trasforma in un crescendo sabbathiano di buona 
            fattura, a mio parere il brano migliore del lotto. Chiude “Outro”, 
            un breve brano che ci saluta.
 
 Fra trovate cinematografiche e creatività italiana si muove 
            questo album che è al tempo stesso divertente e ben fatto, 
            il gruppo ha dimostrato di avere qualcosa da dire e sarebbe un vero 
            peccato se la loro inventiva non venisse premiata. GB
 
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