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 GLI SCANDALI DELLA CHIESA E I VERI MODELLI
 
 Dalla seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (Capitolo 12, versetti 
            8-10)
 
 Tre volte ho supplicato il Signore di liberarmi da questa sofferenza. 
            Ma Egli mi ha risposto: “Ti basta la mia grazia. La mia potenza 
            si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole.” 
            È per questo che io mi vanto volentieri della mia debolezza, 
            perché la potenza di Cristo agisca in me. Perciò io 
            mi rallegro della debolezza, degli insulti, delle difficoltà, 
            delle persecuzioni e delle angosce che io sopporto a causa di Cristo, 
            perché quando sono debole, allora sono veramente forte.
 
 Molte persone si allontanano dalla fede a causa dei “cattivi” 
            modelli, perdono fiducia perché turbati da scandali, da debolezze 
            e dai tanti peccati di cui si è macchiata la Chiesa nel corso 
            dei secoli.
 
 Ma quali sono i “veri” modelli che un buon cristiano deve 
            seguire, ammesso che ci siano?
 
 Come tutti sanno, l’unico “vero” modello è 
            il Cristo, ma io vorrei soffermarmi non su questa figura eccezionale, 
            che risulta nei fatti praticamente inarrivabile da chiunque, talmente 
            straordinaria che molti dubitano per questo della sua esistenza, ma 
            sulle persone che Lui si è scelto per creare la prima piccola 
            comunità di credenti: i discepoli.
 
 “Chi” si è scelto Gesù, quali figure ha 
            voluto accanto a se per divulgare la “Buona Novella”? 
            Erano dei sapienti, degli esperti? Delle persone rette e irreprensibili? 
            Dei modelli di virtù?
 
 Giuda Iscariota: il Vangelo dice che era un “ladro” perché 
            teneva per se i soldi della cassa comune (Gv 12,6), senza dimenticare 
            che più avanti “tradirà” il maestro per 
            consegnarlo ai suoi carnefici.
 
 Simone detto Pietro: un vero testone, che aveva anche delle grosse 
            difficoltà ad esprimersi e viene più volte ripreso da 
            Gesù per queste qualità. In un passo del Vangelo Gesù 
            lo chiama addirittura “satana” (Mt 16,21-23), quando non 
            vuole che Gesù vada a Gerusalemme, dove sapevano già 
            che sarebbe stato “ostacolato” dalla classe sacerdotale. 
            Ma non solo, è anche un violento, girava armato di spada e 
            nell’orto dei Getzemani ferisce un sevo mozzandogli un orecchio 
            (Gv 18,10). Infine rinnegherà Gesù per ben tre volte 
            nel momento più duro in cui più aveva bisogno di “amici”.
 
 Tommaso: diventato per tutti il sinonimo dell’incredulità, 
            colui che non crede che il Cristo è risorto (Gv 20,25).
 
 Matteo: un pubblicano, praticamente considerato feccia dai pii israeliti.
 
 I Vangeli sono ricchi di passi che mostrano l’incredulità 
            dei discepoli e la loro incapacità a comprendere e seguire 
            il maestro (Mt 14,31 – Mt 16,8 – Mc 8,18 – Mc 9,34).
 
 Durante la crocefissione poi i Vangeli lasciano intendere che “tutti” 
            gli apostoli fuggirono lasciando morire in solitudine Gesù 
            (Mt 26,56 – Mc 14,27 – Mc 14,50), con l’unica eccezione 
            di Giovanni (Mc14,51), ma in questo i Vangeli non danno tutti la stessa 
            versione dei fatti.
 
 Per finire Paolo: l’ultimo degli apostoli, un tenace avversario 
            dei primi cristiani, che li perseguitava con grande energia, approva 
            la lapidazione di Stefano (At 7,58 – At 8,1 – At 8,3) 
            . Infatti sulla via di Damasco, prima della conversione, Gesù 
            chiede a Paolo detto Saulo “Saulo, perché mi perseguiti?” 
            (At 9,4) e manda Paolo dalla comunità di cristiani che inizialmente 
            non lo vuole accogliere per paura di lui (At 9,13). Proprio lui diventa 
            il primo vero grande divulgatore del Vangelo. Tanti passi delle sue 
            lettere sono illuminanti e ci spiegano in modo molto dettagliato che 
            il vero cristiano non è un “campione” della fede, 
            il primo della classe e non è nemmeno migliore o più 
            bravo degli altri, ma è solo colui che ha accettato di essere 
            stato salvato da Cristo.
 
 Allora, se Gesù si è scelto dei simili compagni di viaggio, 
            se si è scelto “questi” testimoni e non altri e 
            li ha messi a capo della sua fragile organizzazione, chi siamo noi 
            per giudicare? Quali devono essere allora i nostri modelli? È 
            giusto che ci scandalizziamo di fronte alle miserie della fragilità 
            umana, in particolare se queste vengono da persone di fede?
 
 Innanzi tutto la fede è un dono e non un merito, da questo 
            deriva che uno che ha fede è in tutto e per tutto uguale a 
            chi non ne ha. La fede in se non toglie la fragilità umana 
            che resta, anzi chi ha fede deve “faticare” più 
            degli altri nel cammino della vita.
 
 Stando al Vangelo è evidente che Dio usa dei parametri di giudizio 
            che sono totalmente diversi dai nostri. Dio sceglie ciò che 
            è debole per confondere i forti, Dio sceglie i piccoli che 
            nella società non contano nulla, i poveri, i disperati, i reietti, 
            ma ama tutti allo stesso modo. Perché allora non dobbiamo amare 
            tutti anche noi senza fare distinzioni?
 
 Quindi noi non dobbiamo ne giudicare gli altri, ne tantomeno pretendere 
            troppo da noi stessi, ma dobbiamo cercare di tendere all’unico 
            modello, Gesù, con grande serenità, accettando i nostri 
            limiti e imparando a convivere con essi, perché con l’incarnazione 
            e la morte in croce Gesù ha nobilitato questi “limiti” 
            e li ha costituiti “via per la santità”. Gesù 
            è morto per noi così come siamo (Rm 5,6) con tutti i 
            nostri limiti, quindi è giusto che noi impariamo ad accettare, 
            anzi ad amare i nostri limiti. Infatti scrive San Paolo in un passo 
            meraviglioso: “Perché quando sono debole, allora sono 
            veramente forte.”.
 
 Giancarlo 
            Bolther
 
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