I Renaissance
sono sicuramente il più importante gruppo di prog sinfonico,
la band che più di tutte è riuscita a coniugare la tradizione
classica con il rock, merito notevole, ma dalla metà degli
anni settanta in poi hanno perso la bussola dirigendosi verso un pop
di facile presa, ma dai poveri contenuti.
Si sono sciolti nell'87 e riformati nel '95 e oggi tornano sul mercato
con questo nuovo disco, ma sembra che nulla sia cambiato. Hanno dalla
loro grande esperienza e mestiere e un'indiscutibile classe, ma non
sempre bastano per realizzare un lavoro all'altezza di un ingombrante
passato. Gli ingredienti sono tutti prevedibili: arrangiamenti orchestrali,
armonie dolci e carezzevoli, eleganza fredda e distaccata, musiche
d'atmosfera.
Dieci brani abbastanza vari dove trovano posto anche la samba jazzata
di "Life in Brazil" e cenni di musica celtica, quasi volessero
imitare e seguire artisti come Enya, invece di essere loro i veri
precursori e guide come hanno saputo fare ad inizio carriera. "Dear
Landseer" è una song incantevole, che forse ricorda certi
Yes, ma che fa provare qualche brivido con il suo incedere epico e
con i suoi repentini cambi d'atmosfera, ma subito dopo c'è
la sdolcinata "In the Sunshine" e tutti si stempera in acquerelli
leziosi, in immagini piacevoli, ma anonime che non lasciano traccia
nel nostro cuore. Un paesaggio stanco, che non provoca più
emozioni, lo stesso si ripete nella successiva e delicata "In
My Life". "The Race" è finalmente un altro brano
in possesso di un certo vigore, niente miracoli, ma almeno c'è
un ritornello vincente, anche questo molto vicino agli Yes.
Un disco che chiama in causa, senza merito, la nostra bella terra
di Toscana, su cui gli inglesi hanno messo le loro avide mani senza
mai dimostrare di amare veramente fino in fondo il nostro paese e
la sua gente! Bocciati senza riserve. GB
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