Chi
non conosce Okumoto, non conosce nemmeno gli Spock's Beard, band di
cui è il tastierista. Si parla ovviamente di uno dei migliori
act di new prog e Ryo è un keybordist di grande talento. Non
a caso per questo disco ha raccolto un gruppo di amici di primordine:
Glenn Hughes, Bobby Kimball, Neal Morse, Nick D’Virgilio, Dave
Meros, Alan Morse, Simon Phillips, Kenny Wild, Steve Lukather e Michael
Landau, ho voluto citarli tutti perché un cast così
non lo si può raccogliere se non si gode di grande stima nell'ambiente
musicale. Questo per mettere in pace il cuore dei tanti detrattori
del nuovo prog, quelli che pensano che se un disco di prog non è
settantiano e non è strararo non vale niente.
Coming Through è un album bellissimo, grintoso, diretto e complesso
al tempo stesso, presenta geometrie ardite, con il jazz che gioca
col metal su un tessuto fondamentalmente rock. Il primo brano, da
buon giapponese, è dedicato a Godzilla, l'incubo preferido
dai nipponici, ed uno strumentale pazzesco con grandi solos, esaltati
da ritmiche jazzate con dei tempi da capogiro. Okumoto mette in bella
mostra la sua bravura con una spontaneità disarmante, con le
sue "big" keys crea delle atmosfere maestose che lasciano
a bocca aperta l'ascoltatore. "The Father He Goes, The Father
He Falls" è una traccia carina, con un refrain che si
stampa subito in mente e degli ottimi intrecci ritmici, ma la successiva
"Slipping Down", col suo incedere imperioso, ci regala dei
momenti di esaltante prog metal, anche se non è eccessivamente
originale. "Highway Roller" è una song scritta apposta
per the Voice of Rock, che ho riconosciuto subito alla prima sillaba
(non sapevo ancora che era nel cast), puro soul funky metal, che goduria!
"Free Fall" ci riporta a ritmiche serrate e vertiginose.
"Coming Through" è una traccia molto completa, che
si sviluppa su una struttura rock abbastanza semplice, che ricorda
molto i Flower Kings, purtroppo manca di originalità. Più
aggressiva è la prima parte della suite "Close Enough",
ma mantiene le coordinate new prog, con qualche notevole inserto jazzato,
la parte centrale è molto melodica e Floydiana e parte finale
coi fuochi d'artificio con tanto di solo di batteria. A suggellare
questo grande disco troviamo "The Imperial", un brano lento,
una pausa meditativa di grande bellezza dove Okumoto, in solitudine,
da sfogo alle sue emozioni più intime e sincere.
Un altro disco che merita di essere amato. GB
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