| Il 
            nome Frameshift nasconde il nuovo side project di James Labrie, il 
            famoso singer dei Dream Theater, che in questo lavoro interpreta le 
            composizioni che il polistrumentista Henning Pauly (Chain) ha composto 
            per lui sul tema dell'evoluzione tratto dai libri di Richard Dawkins.
 Ottanta minuti di prog metal stellare in cui James libera la sua voglia 
            di cantare come non faceva da tempo, offrendo una prestazione superlativa. 
            I progetti paralleli stanno veramente inflazionando il mercato discografico, 
            che già non gode di ottima salute, ma questo lavoro merita 
            attenzione perché si differenzia dalla media dei lavori simili.
 
 Pauly nel suo background vanta la composizione di alcune colonne sonore 
            e per questo nuovo lavoro mette a frutto l'eperienza accumulata in 
            questo specifico settore e questo conferisce spessore al concept. 
            Henning suona le chitarre elettriche e acustiche, il basso, il pianoforte, 
            il synth e varie percussioni, oltre ad aver realizzato dei loops e 
            ad aver curato tutte le fasi di programming, orchestration, missaggio 
            ed engineering. Le parti di batteria sono affidate a Eddie Marvin, 
            come seconda chitarra e basso troviamo Nik Guadagnoli e segnaliamo 
            anche la presenza del saxofonista Steve Katsikas. L'album è 
            composto da quindici traccie molto varie ed è difficile riassumere 
            tutto nello spazio di una recensione, ma alcune caratteristiche sono 
            comuni a tutti i brani del disco e sono un contagioso ottimismo e 
            una vitalità esplosiva che mettono il buon umore.
 
 Il disco apre molto bene con un intro acustico di chitarra e voce 
            e James si mette subito in luce. La seconda traccia "The Gene 
            Machine" mixa elettronica e prog metal, un connubio piuttosto 
            riuscito e interessante anche se il pezzo suona un po' come già 
            sentito. "Spiders" gioca a proporre tempi complessi all'insegna 
            di un prog vagamente oscuro e moderno. Al contrario "River Out 
            of Eden" è una traccia solare dal sapore settantiano, 
            in apparenza semplice ma che si complica in modo inaspettato. "Message 
            From the Mountain" ha un inizio vagamente alla Yes per poi assumere 
            dei connotati epici molto pomp. Ma ogni traccia ha qualcosa da offrire, 
            dall'euforia di "Your Eyes" alla delicatezza di "La 
            Mer", vengono citati Gentle Giant e Queen, ma è tutto 
            un caleidoscopio di suoni e immagini che si susseguono all'insegna 
            di una vena compositiva molto ricca, ottimo supporto per la grande 
            voce di Labrie, che in un tale contesto non poteva non dare il meglio 
            di se. GB
 |