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            recensire questo disco bisogna fare una premessa: vi piace l'hard 
            rock di stampo blues degli anni '70? Altrimenti questo disco non fa 
            per voi.
 Bill Steer viene dalla scena estrema del metal avendo fatto parte 
            dei Carcass e di altre formazioni. Chiusa questa parentesi può 
            dedicarsi finalmente al suo amore più grande: l'hard rock. 
            Non stiamo parlando di una musica nostalgica, ma di un'attitudine 
            musicale, di un modo di suonare che oggigiorno si è perso quasi 
            del tutto, senza trovare dei validi sostituti, non nel senso che oggi 
            non si faccia buona musica, anzi, ma si è perso l'approccio 
            settantiano alla musica.
 
 La formazione quindi non poteva essere che un trio (la mia formazione 
            preferita) con chitarra, basso e batteria, mentre in qualche brano 
            compaiono le tastiere. Il titolo del disco è molto esplicito, 
            si tratta del terzo capitolo, i precedenti sono il debutto del '99 
            e Deluxe del 2001.
 
 Musica selvaggia, sporca, diretta, carica di energia allo stato puro 
            con produzione essenziale ed asciutta, ma non si tratta assolutamente 
            di stoner anche se qualcuno potrebbe pensarlo. Sembra di ascoltare 
            un lavoro di Johnny Winter in coppia con Rick Derringer, oppure certe 
            cose molto elettriche e istintive di Rory Gallagher, senza raggiungerne 
            i livelli espressivi, ma andandoci davvero molto vicino.
 
 Fin dal riff sanguigno di "Cross the Line" ci si cala in 
            un'atmosfera dimenticata, una musica che fa sballare senza bisogno 
            di additivi. Altri brividi si provano con il chitarrismo stoppato 
            di "Stoned Believer". "Station" è una ballad 
            elettrica e solare, lo stesso ottimismo viene riproposto nel riff 
            alla Rolling Stones della successiva "Hard Hearted". Molto 
            più irruente è "End of the Day", una corsa 
            liberatoria. Straclassico e divertente il giro di batteria di "Long 
            Gone", con un riff di chitarra molto southern. Sabbathiana e 
            sulfurea è, invece, "Off the Leash", davvero un bel 
            pezzo, mentre "Dream Ride" è Zeppeliniana. In finale 
            troviamo un bluesettone triste e suggestivo, ottimo commiato per un 
            album scritto col cuore. GB
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