| Carl 
            McCoy si riappropria di uno dei nomi storici del dark/goth britannico, 
            reiterando le nere insegne dei Fields Of The Nephilim. Termina così 
            un lungo periodo di silenzio, appena scalfito dalla pubblicazione 
            di “Fallen” (che vanificò le mie tremolanti aspettative 
            traducendosi in fine in una cocente delusione…) e da una irritante 
            sequela di illazioni. Lui, l’unico, l’impareggiabile cantore 
            della tenebra, colui che seppe rivitalizzare il genere, traendolo 
            dalle paludi dell’oblio, ove pareva condannato a giacere, e 
            traghettandolo fino ai nostri giorni, non senza aver cresciuto schiere 
            di zelanti ed adoranti epigoni, non poteva riservarci miglior rientro, 
            gratificato dall’immenso dischetto che mi appresto ad analizzare, 
            col rispetto che si riserva esclusivamente ai grandi Maestri.
 Perché “Mourning sun” è proprio opera meritoria, 
            costituita da sette tracce (ho trovato inoltre indizio, in una intervista, 
            d’una sorprendente bonus, la versione mccoyana di un brano appartenente 
            al repertorio minore degli anni ’60, ovvero “In the year 
            2525” della coppia Zager/Evans, presto ricacciati nell’oblio, 
            considerato che di loro non residuano ulteriori tracce) di severo 
            ed obscurissimo gothic, capitolo degno della discografia dei Fields, 
            che nondimeno aggiorna l’esperienza del singer albionico maturata 
            col suo progetto dark/death Nefilim (ne ho approfittato per riascoltarmi 
            il duro “Zoon”, dal quale “Mourning sun” ha 
            ereditato più d’una vigorosa porzione). Dalla minacciosa 
            opener “Shroud (exordium)” in avanti, verrete trasportati 
            in un universo di tenebra, popolato d’ombre e d’anime 
            penanti. Gelida fin dal titolo è “Xiberia (seasons in 
            the ice cage)”, d’altronde McCoy si è servito per 
            le registrazioni del suo studio mobile (appunto l’Ice Cage), 
            compiendone diverse in prossimità del Circolo Polare Artico, 
            e distribuendole poscia nel corso dell’intero disco. Il goth 
            nephiliano (con la acca!) riemerge prepotente nella bella “New 
            gold dawn” e pure negli episodi maggiormente rallentati, come 
            nella riuscitissima dark ballad “She”, in assoluto uno 
            dei pezzi più belli firmati FOTN fin da “Burning the 
            fields” (l’EP d’esordio del 1985).
 
 Fra scorie industrial, inserti metal, sferzate electro e tanto, tanto 
            goth ammannito senza risparmio, “Mourning sun” distanzia 
            nettamente le uscite patrocinate dai suoi ex-colleghi e targate Rubicon, 
            NFD e Last Rites. Lavori buoni, tutti posizionati su livelli medio-alti, 
            ma non in grado di competere col presente. E l’umbratile Carl 
            nulla ha loro perdonato: non osate pronunziare al suo cospetto i nomi 
            di Pettitt, Yates o dei fratelli Wright! Con “Mourning sun” 
            egli è riuscito a valicare vieppiù i limiti conosciuti 
            del goth, gli renderemo grazie ancora a lungo! AM
 
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