Gli
Echolyn hanno alle spalle tredici anni di attività e una manciata
di dischi (sette di cui uno è una raccolta di inediti), ma,
nonostante una discografia parsimoniosa e scarsamente distribuita,
sono entrati nel cuore degli amanti del prog.
La loro storia è contrassegnata da una continua evoluzione
e da una profonda ricerca sui suoni. Questo percorso ha portato il
gruppo a incidere questo nuovo capitolo della loro saga che contiene
un unico brano di ben cinquanta minuti!
Una follia, un suicidio commerciale, un atto di presunzione? No è
più semplicemente genialità pura, uno dei dischi più
grandiosi di prog usciti negli ultimi quindici anni. Mei è
un viaggio onirico all'interno dell'animo umano, il gruppo lo descrive
come un incrocio fra "On the Road" di Jack Kerouac e "L'Inferno"
di Dante Alighieri e credo che queste citazioni calzino a pennello.
Idealmente di può pensare ad un incrocio fra i King Crimson
più duri e i Genesis più atmosferici, ma queste citazioni
servono solo per dare una vaga idea di cosa aspettarsi. Un rincorrersi
di crescendo imponenti e di atmosfere sospese e sognanti, sfuriate
apocalittiche dal grande impatto emotivo che lasciano il posto a momenti
di impareggiabile intensità.
Le tastiere di Christopher Buzby sono devastanti, i suoi fraseggi
serrati sui tasti d'avorio sono incontenibili e costituiscono l'ossatura
del sound degli Echolyn. Ray Weston e Paul Ramsey, rispettivamente
basso e batteria, sono una sezione ritmica che non teme confronti
e la voce di Ray è bellissima. La chitarra sofferta di Brett
Kull è uno degli strumenti che si sentono meno ad un ascolto
superficiale, ma la sua discrezione è un merito che premia
l'ascoltatore solo dopo ripetuti ascolti. Intervengono anche altri
sette musicisti classici, infatti, il sound ha un che di solenne e
di maestoso.
Mei è un disco da avere a tutti i costi, uno di quelli che
lasciano il segno. GB
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