| Breve nota biograficaFrancese, classe 1904, Madeleine Delbrel ha vissuto in un’epoca 
            di grandi mutamenti, insanguinata da due conflitti mondiali. Tuttavia, 
            l’apparente assenza di Dio, che dapprima spinge Madeleine nel 
            dramma di un estremo ateismo, diventa poi il motore della sua ricerca 
            spirituale, che la condurrà alla scoperta dell’amore 
            di Dio e alla conversione. Da quel momento la sua vita, spesa per 
            massima parte nei sobborghi proletari di Parigi e conclusasi nel 1964, 
            sarà guidata da due soli desideri: appartenere a Gesù 
            Cristo e vivere il suo vangelo nel più intimo della Chiesa 
            e per la salvezza del mondo.
 
 “Quando dobbiamo agire in una cosa che 
            veramente supera le nostre possibilità, bisogna affidarla a 
            Dio. E affidarla davvero a Dio significa fidarsi di lui. Perché 
            questa fiducia sia reale, effettiva, perché…tratti Dio 
            da Dio, cioè da onnipotente e da infinitamente buono, non dobbiamo 
            lasciare spazio in noi all’inquietudine: dobbiamo soffocarla, 
            ridurla al silenzio, ogni volta che fa capolino.
 Invece, spesso crediamo che la nostra collaborazione all’opera 
            di Dio - a ciò che dipende da noi! – consista nell’inquietarci 
            e nel soffrire con tutta la nostra apprensione. Dopo aver amato gli 
            altri abbastanza da angosciarci per i loro bisogni e per la nostra 
            incapacità a portarvi soccorso, ci rimane da credere in sostanza 
            che Dio è Dio, che cioè ci resta di sperare.
 
 Credere al Signore Gesù Cristo è credere incrollabilmente 
            che, se noi non vi opponiamo resistenza, là dove abbonda il 
            nostro peccato, deve sovrabbondare la grazia…ma tale sovrabbondanza 
            dipende dal fatto che, da parte nostra, si riconosceva veramente e 
            serenamente quel che in noi è il peccato e quel che in noi 
            è la grazia. Tutto è grazia, tutto porta alla speranza, 
            tutto è salvato per chi si sa peccatore e sa che Gesù 
            è Salvatore; questi sono i due cardini della nostra fede, della 
            nostra fede che è la sola nostra giustizia. E ciò non 
            ha assolutamente nulla da spartire con il lassismo o con il quietismo, 
            giacchè, cercare, in quanto peccatore, la salvezza che è 
            in Gesù Cristo, esige che si sia intensamente “attivi”, 
            in un’obbedienza senza tregua alla legge di Gesù Cristo. 
            E resti chiaro che sono le nostre cattive tristezze, alimentate da 
            un falso senso della nostra miseria, ad intorpidirci nella “inattività”.
 
 Come “tutto è grazia”, così tutto può 
            essere speranza. Tutto ciò che in noi è disprezzo di 
            noi, sfiducia in noi e condanna di noi, è certamente viziato 
            dall’orgoglio e dall’ignoranza; si deve considerare come 
            sbagliato o come una cattiva illusione. E’ sorprendente vedere 
            che spesso le sue grazie investono in noi ostacoli a Lui frapposti 
            che non sospettavamo, lì mettono in luce e li abbattono; e 
            intanto le difficoltà con le quali ci scontravamo da anni e 
            che non riuscivamo ad eliminare, si attenuano o scompaiono, senza 
            che la grazia sembra essersi occupata di loro.
 Infine c’è una cosa sola che è assolutamente certa, 
            ed è questa: niente accade senza che Dio lo permetta, e Dio 
            niente permette che non possa tornare a sua gloria. Neppure i nostri 
            veri peccati. Non appena sono commessi, noi, per l’ininterrotto 
            miracolo della redenzione, possiamo lasciare che essi diano a Dio 
            più gloria di quanta non avevamo tentato di carpirgli…
 
 Le promesse di Dio non vacillano a causa delle incoerenze, delle incapacità, 
            degli accecamenti, delle crudeltà che si commettono, perché 
            non sono fondate su ciò che gli uomini fanno o non fanno. Le 
            promesse di Dio rimangono pazientemente stabili e restano segretamente 
            custodite da coloro che in esse sperano, da uno solo che in esse continui 
            a sperare, nonostante le disastrose vicende di cui si è spettatori.
 
 Il Signore ci chiede poi il nostro tempo per operare per la vita eterna 
            e, in questo operare, Egli – e non noi! – ha un’efficacia 
            onnipotente. Infatti, non ci chiama a questo impegno senza chiamarci 
            simultaneamente a spartire l’efficacia della sua onnipotenza. 
            Ma, perché ciò avvenga…bisogna accettare di sperare 
            con la sola speranza che Dio ci dà. Bisogna sperare unicamente 
            nelle promesse di Dio. Dio non si stanca di chiederci la prova del 
            nostro radicamento in questa speranza, perché essa è 
            il fondamento stesso dell’unica fedeltà a noi possibile, 
            a noi proposta, a noi richiesta.”
 
 Tratto da : M.Delbrel, Indivisibile Amore, Piemme, Casale Monferrato 
            1994
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