| Assenza e desiderio: 
            la musica giovanile contemporanea di fronte al fatto cristianodi Matteo Graziola, a cura di Marco Parravicini
 
 Un contesto culturale inevitabile
 Sappiamo tutti quanto peso abbia la musica per i giovani 
            di oggi. La tecnologia attuale permette a tutti loro di ascoltare 
            e anche di produrre espressioni musicali di ogni genere. Da un punto 
            di vista economico e sociale-culturale-politico si tratta di un mercato 
            enorme con in gioco interessi da capogiro. Tutta la produzione artistica 
            è determinata in modo assai superiore al passato da questi 
            interessi: le case discografiche sono in grado di pilotare con mezzi 
            potentissimi i gusti e i consumi del pubblico giovanile. Nessun gruppo 
            musicale può emergere se non è veicolato e lanciato 
            da un apparato complesso che è in grado di mobilitare l’intero 
            mondo dei mass-media: il successo di un prodotto musicale è 
            determinato dai "passaggi" nelle televisioni, nelle radio, 
            sulla stampa, nella catena di distribuzione discografica. Chi dunque 
            desidera essere ascoltato nella sua creazione musicale deve corrispondere 
            ai criteri socio-culturali fissati da questo apparato.
 
 Tutta questa struttura, con la sua logica interna, poggia sul fatto 
            che il soggetto interlocutore dell’artista non è più 
            la persona e un popolo, ma una massa. Quest’ultima non ha un’identità, 
            una autocoscienza precisa, una storia, una capacità di giudizio: 
            vive di fatto avendo come unico punto di riferimento una mentalità 
            dominante che è nello stesso tempo ciò che determina 
            la massa e ciò che è determinato da essa, in un giro 
            vizioso in cui la persona umana non ha più la capacità 
            di usare la sua ragione e si adegua istintivamente ad un flusso impersonale 
            e privo di autentiche ragioni. Ognuno è complice in qualche 
            modo di questo flusso e ognuno è in qualche modo una sua vittima. 
            Sta di fatto che questo flusso esiste e travolge la stragrande maggioranza 
            delle persone senza che esse abbiano nemmeno la coscienza di essere 
            travolte, anzi vantando una finalmente realizzata libertà.
 
 Le radici di questa mentalità dominante affondano nel lungo 
            periodo di questi ultimi sei secoli in cui abbiamo visto il formarsi 
            e il diffondersi della cosiddetta "cultura moderna": essa 
            si è inizialmente formata tra le elites intellettuali, ma ha 
            poi conquistato dapprima il mondo della scuola nella sua totalità 
            e di conseguenza poi quello dei mass-media, nati all’interno 
            di questa cultura e perciò conosciuti solo nella modalità 
            di uso e di contenuto che così hanno assunto. La cultura moderna, 
            al di là di tanti aspetti positivi che in altra sede sono stati 
            tante volte evidenziati, si caratterizza di fatto per una ben precisa 
            posizione religiosa: "Dio se c’è non c’entra", 
            come ha scritto il filosofo Cornelio Fabbro. Non si nega necessariamente 
            l’esistenza di Dio, ma non si ammette che Egli possa interferire 
            con l’esistenza concreta e con la mentalità con cui si 
            affronta la realtà.
 
 Il fatto di Cristo allora, in quanto caratterizzato dalla pretesa 
            di essere la presenza visibile e incontrabile di Dio nel mondo, rappresenta 
            inevitabilmente un fatto intollerabile per la cultura dominante e 
            quindi per il potere dominante, specialmente nella forma storica concreta 
            di questo fatto che è la Chiesa: un popolo che si riconosce 
            costituito e determinato dalla presenza reale di Cristo stesso. Questo 
            popolo dunque, in quanto soggetto che affronta la realtà a 
            partire da una concezione del mondo e dell’uomo che trova in 
            Cristo il suo centro e la sua forza, è il punto irriducibile 
            che si oppone al processo di massificazione della società.
 
 Il cerchio a questo punto si chiude: una cultura dominante che ha 
            conquistato i grandi mezzi della formazione culturale e della comunicazione 
            dell’intera società tenta continuamente di svilupparsi 
            estromettendo il fatto di Cristo dalla coscienza e dalla vita degli 
            uomini. Questo processo è tanto più carico di successo 
            quanto più non trova la resistenza di uomini vivi, cioè 
            di un popolo cosciente di sé.
 
 Ma il fatto di Cristo e del suo popolo è ultimamente un fatto 
            indistruttibile: anzitutto per la forza misteriosa che lo caratterizza 
            e che ne garantisce la sussistenza; ma in secondo luogo anche per 
            il legame ineludibile che esso ha con il cuore stesso dell’uomo. 
            La cultura moderna si trova a fare i conti con questo cuore, cioè 
            con la ragione stessa dell’uomo e tutte le sue domande: così 
            ogni progetto di costruzione di una società senza Cristo finisce 
            con il naufragio dell’umano. "È i la voce di Dio 
            che ci chiama a illuminare le coscienze con la luce del Vangelo" 
            (ibidem)
 
 Il mondo musicale giovanile di fronte al fatto cristiano
 In questo panorama culturale la persona di Cristo è 
            considerata secondo quattro direttive fondamentali: una incapacità 
            radicale a cogliere l’integrità dei fattori costitutivi 
            della persona di Cristo; la conseguente riduzione di Cristo a semplice 
            uomo e personaggio della storia, simbolo di una concezione vitalistica 
            o rivoluzionaria dell’esistenza; una certa attrattiva verso 
            il misterioso fascino di questa figura ideale e del suo messaggio; 
            infine un sentimento vago della sua presenza avvertita però 
            come fatto puramente ideale-spiritualistico-sentimentale, senza alcun 
            legame con l’esperienza della Chiesa. È proprio questa 
            separazione totale tra Cristo e la sua continuità storica nella 
            Chiesa la ragione della incapacità radicale a comprendere la 
            natura del fatto cristiano stesso.
 
 È chiaro che questa riduzione del fatto cristiano, pur con 
            certi aspetti di attrattiva verso la persona di Cristo stesso, ha 
            le sue radici nel clima culturale sopra descritto che ha reso quasi 
            del tutto sconosciuta e inconoscibile la verità su Cristo. 
            Il mondo cristiano ha qui probabilmente delle responsabilità 
            su cui riflettere.
 
 Un fenomeno emblematico: "Jesus Christ Supestar"
 All’inizio degli anni settanta viene realizzato un 
            musical sulla figura di Gesù Cristo che otterrà un successo 
            enorme in tutto il mondo giovanile americano, europeo e mondiale in 
            genere (nel 1992 in Australia alle diverse rappresentazioni di questa 
            spettacolo hanno partecipato un milione di persone e il disco è 
            stato il più venduto dell’anno): si tratta del celebre 
            Jesus Christ Superstar, in versione teatrale e cinematografica, che 
            ancora oggi riempie le sale di tutto il mondo.
 
 È chiaro che dietro il successo impressionante di quest’opera 
            non sta semplicemente una buona produzione musicale e teatrale, ma 
            il fascino di una persona ben precisa, cioè di Cristo stesso. 
            E nello stesso tempo quest’opera è indice di una profonda 
            confusione circa l’identità di questo personaggio, anzi 
            di un diffuso tentativo, anche dentro il mondo cristiano, di ricondurlo 
            dentro i limiti ammessi dalla cultura moderna sopra descritta: di 
            conseguenza Cristo è presentato come un semplice uomo, per 
            di più insicuro, votato ad una fine sacrificale senza senso, 
            vittima di un dio crudele e irrazionale.
 
 Tim Rice, uno dei due autori del musical, ha dichiarato che "l’idea 
            dell’opera è di far vedere Cristo con gli occhi di Giuda… 
            Cristo uomo, non Dio… E, come Giuda, anche Cristo è confuso 
            e non sa realmente chi è"; e fa dire a Maddalena: "È 
            un uomo, è solo un uomo"; e a Giuda: "Dio! Non saprò 
            mai perché mi hai scelto per il tuo crimine, il tuo ripugnante, 
            crudele crimine! Tu mi hai assassinato!". Nel ritornello del 
            brano principale Giuda chiede a Cristo: "Pensi proprio di essere 
            quello che loro (gli apostoli) pensano che tu sia?". Quest’ultima 
            affermazione mostra la concezione della Chiesa che attraversa non 
            solo quest’opera, ma la mentalità dominante in genere: 
            la Chiesa come realtà deleteria da cui la figura di Cristo 
            deve essere distinta e liberata.
 
 È chiaro quindi che quest’opera mette in evidenza il 
            tipo di rapporto che in questi ultimi decenni, a partire soprattutto 
            dagli anni della contestazione giovanile americana, si è venuto 
            formando tra il mondo dei giovani occidentali e la figura di Cristo: 
            da una parte un’attrattiva profonda e normalmente censurata, 
            dall’altra una ignoranza pesante sulla realtà della sua 
            persona e della sua opera, terreno fertile per travisamenti ideologici 
            della sua identità; in particolare risulta evidente la separazione 
            di Cristo dalla sua Chiesa, concepita per lo più come un organismo 
            di potere che ha mitizzato la figura di Cristo per i propri interessi.
 
 Dentro questa ambiguità continua a muoversi la realtà 
            giovanile occidentale di questi ultimi anni: tra una scristianizzazione 
            evidente da una parte e dall’altra fenomeni di grande riscoperta 
            del cristianesimo da parte dei giovani (come mostra lo straordinario 
            fenomeno delle grandi adunate di giovani con il Papa). È una 
            situazione esistenziale che è per i cristiani motivo di una 
            responsabilità eccezionale di nuova evangelizzazione.
 
 Una conversione senza sbocco: Bob Dylan
 "I put all my confidence in Him, my sole protection, 
            is the saving grace that's over me": "ho posto ogni mia 
            speranza in Lui, mio solo rifugio; è la grazia che salva che 
            è su di me" (Saving Grace).
 "You have given everything to me. What can I do for You? You 
            have laid down Your life for me. What can I do for You?": Tu 
            mi hai dato tutto, cosa posso fare per Te? Hai dato la tua vita per 
            me, cosa posso fare per Te?" (What can I do for You?).
 
 " When they came for Him in the garden, did they know? Did they 
            know He was the Son of God, did they know that He was Lord? …When 
            He rose from the dead, did they believe? He said, "All power 
            is given to Me in heaven and on earth": quando vennero per prenderLo 
            nell’orto degli Ulivi, sapevano? Sapevano che Egli era il Figlio 
            di Dio, riconobbero che era il Signore? Quando Lui risorse dalla morte, 
            loro credettero? Lui disse: "Mi è stato dato ogni potere 
            in cielo e in terra" (In the Garden).
 
 "Saved, by the blood of the lamb, saved, saved, and I'm so glad.Yes, 
            I'm so glad, I'm so glad, so glad, I want to thank You, Lord, I just 
            want to thank You, Lord, Thank You, Lord": salvato dal sangue 
            dell’agnello, salvato, salvato, e io sono felice. Sì, 
            io sono felice, così felice, voglio ringraziare Te, Signore, 
            davvero voglio ringraziare Te, Signore, grazie a Te, Signore" 
            (Saved).
 
 Sono citazioni eloquenti da tre canzoni di Bob Dylan, e molte altre 
            se ne potrebbero aggiungere ascoltando i due LP (Saved e Slow Train 
            Coming) con cui nel 1979 e 1980 il celebre cantautore americano annunciava 
            la sua aperta conversione alla fede cristiana. Il simbolo della protesta 
            giovanile americana, il poeta di quella drammatica ricerca di una 
            vita senza ipocrisie che aveva caratterizzato tutto il mondo degli 
            Hippy, il più prestigioso cantautore del mondo occidentale 
            annunciava di avere trovato la risposta alle grandi domande che avevano 
            riempito tutte le sue canzoni e la sua stessa vita: e questa risposta 
            si chiamava Gesù Cristo. Proprio quel Cristo che era stato 
            ridotto ad un semplice uomo e ad un simbolo degli ideali di giustizia 
            e di libertà veniva ora riconosciuto come il Figlio di Dio, 
            il Salvatore dell’uomo, il Risorto, il senso della vita.
 
 Il fatto mise sottosopra tutto il mondo della critica musicale. E 
            tutti i più consolidati luoghi comuni furono tirati in ballo 
            per neutralizzare il valore dell’accaduto. Bob Dylan non riuscì 
            a far fronte alla sfida che egli stesso aveva lanciato: mancava forse 
            il lui un adeguato approfondimento delle ragioni della sua fede e 
            ancor più un legame con persone coinvolte nella stessa esperienza 
            cristiana. Così ben presto la sua professione di fede cristiana 
            venne riassorbita e messa nel dimenticatoio. Dylan stesso sembrò 
            non riprendere più l’argomento e lasciare un enigma circa 
            la sua vera posizione riguardo al cristianesimo. Negli ultimi anni 
            però è tornato qua e là sul tema della sua fede 
            in Dio, dichiarando tranquillamente che questa fede costituisce il 
            punto più importante nella formazione umana e culturale di 
            un uomo e che è grave che la società non ne sia consapevole. 
            Nel suo ultimo CD inciso nel 1997 cita due volte Dio nelle sue canzoni; 
            ma si tratta di citazioni marginali che fanno capire quanto la questione 
            sia lasciata da Dylan stesso in termini inadeguati.
 
 Concludendo occorre notare che anche in questo singolare e considerevole 
            fenomeno della "conversione" di Dylan ritroviamo in buona 
            parte l’impostazione culturale descritta nel punto precedente: 
            il fatto di Cristo è avvertito carico di attrattiva per la 
            vita, ma nello stesso tempo è afferrato in termini ancora riduttivi, 
            senza il riconoscimento e la verifica della sua presenza dentro una 
            realtà precisa che è la sua Chiesa. Così la fede 
            che ne scaturisce è fragile e inevitabilmente monca. Resta 
            comunque il fatto che il più venerato tra gli artisti della 
            beat generation ne abbia avvertito o presentito, a dispetto di tutta 
            la cultura dominante, l’incommensurabile valore.
 
 Una figura venerata ma lontana: il caso "U2"
 Un altro fenomeno rilevante nel mondo musicale giovanile 
            che ha manifestato un rapporto con il cristianesimo è quello 
            del gruppo irlandese degli "U2", il cui successo si protrae 
            ormai da quasi vent’anni ai massimi livelli del mercato discografico 
            e dei grandi concerti. Anche in questo caso troviamo una posizione 
            di fondo che tradisce, benchè in modi diversi rispetto ai casi 
            precedenti e con accenti di autentica religiosità cristiana, 
            una evidente riduzione del fatto cristiano, secondo i canoni imposti 
            dalla cultura dominante sopra descritta.
 
 Nella produzione musicale di questo gruppo – specialmente in 
            quella dei primi anni - troviamo brani di esplicita adesione alla 
            fede cristiana. È il caso per esempio di Gloria: "But 
            only in you I'm complete. Gloria, in Te Domine, Gloria, exultate! 
            Oh Lord, loosen my lips I try to sing this song. I try to get in, 
            but I can't find the door. The door is open. You're standing there, 
            Let me in. Gloria, Gloria! Oh Lord, if I have anything, anything at 
            all, I'll give it to you": solo in te io sono realizzato. Gloria 
            in Te, Signore, Gloria, esultate! O Signore, libera le mie labbra. 
            Io provo a cantare questa canzone, io provo ad entrare, ma non riesco 
            a trovare la porta. La porta è aperta. Tu stai lì, fammi 
            entrare. Gloria, gloria! O Signore, se io avessi qualsiasi cosa la 
            darei a Te.
 
 Una fede esplicita è evidente anche in "40", una 
            canzone che riprende le parole del Salmo 40: " I waited patiently 
            for the Lord He inclined and heard my cry. He brought me right out 
            of the pit, out of my reglade. I will sing a new song, How long to 
            sing this song? He set my feet upon a rock, and made my footsteps 
            heard. Many will see, Many will see and fear. I will sing, sing a 
            new song. How long to sing this song?": ho atteso con pazienza 
            il Signore Lui si è chinato ed ha udito il mio lamento Allora 
            mi ha preso e mi ha condotto a sè fuori dall'inferno Lontano 
            dalle sabbie mobili. E io canterò, canterò una nuova 
            canzone E io canterò, canterò una nuova canzone Per 
            quanto ancora dovrò cantare questa? Poi Egli mi ha indicato 
            la via della roccia E ha donato fermezza ai miei passi Molti vedranno, 
            molti vedranno e potranno udire. Io canterò, canterò 
            una nuova canzone, io canterò, canterò una nuova canzone, 
            per quanto ancora dovrò cantare questa?.
 
 Anche nella famosa Pride, dedicata a Martin Luther King, troviamo 
            un richiamo alla figura di Gesù Cristo: "One man come 
            in the name of love, one man come and go, one man come he to justify, 
            one man to overthrow. In the name of love, what more in the name of 
            love. In the name of love!": un uomo viene nel nome dell’amore, 
            un uomo viene e va, un uomo viene per giustificare, un uomo per rovesciare. 
            Nel nome dell’amore, proprio nel nome dell’amore.
 
 In Drowning Man troviamo una religiosità intensa, anche se 
            non specificamente cristiana: "Take my hand, You know I'll be 
            there If you can I'll cross the sky for your love. For I have promised 
            for to be with you tonight and for the time that will come": 
            Prendi la mia mano Sai che ci sarò; se tu riuscirai, attraverserò 
            Il cielo per il tuo amore: ho promesso di esserti accanto questa sera 
            e per i tempi che verranno.
 
 Infine – ma l’elenco potrebbe continuare – nella 
            celebre Sunday bloody Sunday, appassionata riflessione sugli orrori 
            del terrorismo in Irlanda, si afferma che a dispetto di una violenza 
            che sembra invincibile c’è proprio Gesù Cristo 
            che è venuto a proclamare la vittoria dell’amore: "The 
            real battle just begun, to claim the victory Jesus won on a sunday, 
            bloody sunday sunday, bloody sunday": la vera battaglia è 
            appena cominciata, Gesù vinse per proclamare la vittoria in 
            una domenica, insanguinata domenica.
 
 Siamo dunque di fronte ad un rapporto significativo di questo gruppo 
            di musicisti con l’evento cristiano, almeno nella produzione 
            degli anni ottanta; e tuttavia non può non balzare agli occhi 
            anche in questo caso una determinante riduzione di questo evento nei 
            termini già sopra incontrati. È evidente infatti che 
            la persona di Cristo è ancora una volta considerata senza alcun 
            riferimento con quella realtà umana concreta attraverso cui 
            si realizza la sua continuità nella storia, e cioè la 
            Chiesa o comunità dei credenti. Mancando questa realtà 
            la fede in Cristo rimane come sospesa in un vuoto insuperabile: esercita 
            un inevitabile fascino, ma rimane lontana, a lato della vita ‘normale’. 
            Così si ripropone quel dualismo esistenziale che caratterizza 
            tutta la cultura moderna: da una parte una certa dimensione "religiosa" 
            in cui spicca la figura di Cristo come la più significativa 
            ma completamente spiritualizzata; dall’altra la dimensione della 
            "vita reale" con i problemi, le ansie, i desideri, le esperienze 
            di ogni giorno. E inevitabilmente un Cristo così spiritualizzato 
            può anche essere sinceramente venerato, ma non è riconosciuto 
            come la risposta reale ai problemi e alle domande della vita reale.
 
 È estremamente significativa a questo riguardo una delle canzoni 
            più famose degli "U2", I still haven’t found 
            what I’m looking for ("non ho ancora trovato quello che 
            sto cercando"). In essa troviamo una interessante espressione 
            del senso religioso dell’uomo, descritto come spinta continua 
            a superare qualsiasi soddisfazione particolare alla ricerca di quella 
            totale; quest’ultima è presentata come un "to be 
            with you", stare con te, dove questo tu, come si capisce nella 
            strofa finale, è quello di Cristo; e tuttavia proprio nella 
            strofa finale a questo tu si dice: "I believe in the Kingdom 
            Come, then all the colours will bleed into one, but yes I' m still 
            running. You broke the bonds, You loosed the chains, You carried the 
            cross and my shame, oh my shame, You know I believe it; but I still 
            haven' t found what I' m looking for, but I still haven' t found what 
            I' m looking for": credo al Regno dei Cieli, quel giorno i colori 
            saranno uno solo, ma ora sto ancora correndo. Tu hai infranto i legami, 
            tu hai sciolto le catene, tu hai portato la croce e la mia vergogna, 
            oh, la mia vergogna! Sai che lo credo, ma non ho ancora trovato quello 
            che sto cercando, ma non ho ancora trovato quello che sto cercando. 
            Vale a dire: credo che Cristo sia qualcosa di grande, ma non la risposta 
            alla mia domanda di uomo in questa vita reale. Una riduzione inequivocabile 
            del cristianesimo, pur dentro una religiosità per certi versi 
            apprezzabile. E questa riduzione, insieme al dualismo sopra descritto 
            di cui è conseguenza inevitabile, caratterizza la coscienza 
            che la maggior parte dei contemporanei occidentali hanno del fatto 
            cristiano.
 
 Verso una domanda seria: i Queen e Freddy Mercury
 "Can anybody find me somebody to love, Each morning 
            I get up I die a little, Can barely stand on my feet, Take a look 
            in the mirror and cry. Lord what you're doing to me? I have spent 
            all my years in believing You, but I just can't get no relief, Lord! 
            Somebody, somebody, can anybody find me somebody to love?": chi 
            può trovarmi qualcuno da amare? Ogni mattina mi alzo e mi sento 
            morire un po'; riesco a malapena a stare in piedi; guardo lo specchio 
            e piango. Signore cosa mi stai facendo? Ho passato tutta la mia vita 
            a credere in Te, ma non riesco a riceverne conforto, Signore! Qualcuno, 
            qualcuno chi può trovarmi qualcuno da amare?.
 
 Queste parole sono tratte dalla famosa canzone Somebody to love con 
            cui il gruppo dei Queen ha siglato negli anni settanta il suo clamoroso 
            successo; in esse ritroviamo la contraddizione già evidenziata 
            nella musica degli U2: il fatto religioso sentito come qualcosa di 
            diverso dalla risposta alle domande della vita reale. Ciononostante 
            c’è in questa canzone dei Queen un desiderio positivo 
            di concretezza, quasi una domanda a Dio perché l’amore 
            non rimanga una cosa astratta e senza volto; si avverte che non si 
            ha nemmeno l’idea che proprio il fatto cristiano, autenticamente 
            considerato, si presenta con questa concretezza pienamente sperimentabile 
            e verificabile nella realtà ecclesiale: è chiaro ancora 
            una volta che proprio l’esperienza di questa realtà è 
            ciò che manca e rende indefinibile la figura di Cristo stesso.
 
 Anche in altre canzoni i Queen sono tornati sul tema religioso, come 
            in Miracle, dove si afferma che la possibilità di una vera 
            novità nella storia viene da qualcosa di eccezionale, il miracolo, 
            scaturigine continua del disegno della creazione: "Every drop 
            of rain that falls in Sahara desert says it all, It's a miracle, All 
            God's creation great and small, the Golden Gate and the Taj Mahal, 
            That's a miracle": ogni goccia di pioggia che cade nel deserto 
            del Sahara dice già tutto, è un miracolo, Tutte le creazioni 
            di Dio grandi e piccole, il Golden Gate e il Taj Mahal, tutto ciò 
            è miracolo; "It's a miracle we need - the miracle, The 
            miracle we're all waiting for today.": è un miracolo ciò 
            di cui abbiamo bisogno - il miracolo, il miracolo che noi tutti oggi 
            stiamo aspettando; "If all God's people could be free, to live 
            in perfect harmony, It's a miracle": se tutti i popoli di Dio 
            potessero essere liberi, per vivere in perfetta armonia, sarebbe un 
            miracolo.
 
 Il tutto rimane per la verità dentro un contesto molto confuso, 
            dove anche la vita in provetta è considerata un miracolo; ma 
            senza non manca in questa canzone una intuizione felice, che purtroppo 
            per i motivi sopra ricordati non diventa storia.
 
 Il leader del gruppo, Freddy Mercury, è morto pochi anni fa 
            a causa di un male incurabile; conscio della sua malattia, nelle sue 
            ultime produzioni canore ha espresso una intensa e drammatica domanda 
            sulla vita, che è culminata nell’ultima canzone in una 
            preghiera nel senso stretto della parola.
 
 È anzitutto in The Show must go on ("lo spettacolo deve 
            andare avanti") che Mercury denuncia l’ipocrisia di un 
            mondo che non vuole prendere in considerazione il suo dolore e la 
            sua domanda sulla vita e lo spinge a far finta di nulla, perché 
            tutto deve andare avanti indisturbato: "The show must go on, 
            The show must go on, Inside my heart is breaking, my make up may be 
            flaking but my smile still stays on": lo spettacolo deve andare 
            avanti, lo spettacolo deve andare avanti, dentro il mio cuore si sta 
            lacerando, il mio trucco potrebbe sciogliersi ma il mio sorriso rimane.
 
 Ma è in Guide Me Home ("Conducimi a casa") e in How 
            Can I Go On ("Come posso andare avanti") che la domanda 
            si fa più chiara e diventa infine domanda a Dio: "Now 
            the wind has lost my sail, Now the scent has left my trial, Who will 
            find me, Take care and side with me… Who can save me, Lead me 
            to my destiny, Guide me back, safely to my home, where I belong, once 
            more": ora il vento ha abbandonato la mia vela, il profumo non 
            c’è più sul mio cammino, chi mi troverà, 
            si prenderà cura di me e mi sosterrà… Chi può 
            salvarmi, condurmi al mio destino, condurmi indietro, con sicurezza 
            alla mia casa, alla quale io appartengo, ancora una volta.
 
 E subito dopo: "How can I go on from day to day, Who can make 
            me strong in every way, Where can I be safe, Where can I belong in 
            this great big world of sadness, How can I forget those beautiful 
            dreams that we shared, They're lost and theyr're no where to be found, 
            How can I go on? Sometimes I tremble in the dark, I cannot see when 
            people frighten me, I try to hide myself so far from the crowed, Is 
            anybody there to comfort me, Lord...take care of me": come posso 
            andare avanti giorno dopo giorno, chi può rendermi sempre forte, 
            dove posso essere sicuro, a quale luogo posso appartenere in questo 
            grande mondo di tristezza, come posso dimenticare quei meravigliosi 
            sogni che noi avevamo in comune, essi sono perduti e non c’è 
            luogo dove si possano ritrovare. Come posso andare avanti? Talvolta 
            tremo nell’oscurità, non posso vedere quando la gente 
            mi impaurisce, io provo a nascondermi lontano dalla folla, non c’è 
            nessuno che mi conforti: Signore, prenditi cura di me".
 
 Il nome di Cristo non compare apertamente, ma è chiaro che 
            questi sentimenti religiosi si riconducono nel mondo occidentale al 
            testo biblico e alla tradizione cristiana, anche se spesso nella musica 
            rock sono stati traspositati con disinvoltura in altri contesti religiosi, 
            specialmente orientali. In ogni caso il dramma che Mercury ha vissuto 
            ha reso più serio il rapporto con quel Dio che viene ora percepito 
            come un fattore determinante la domanda concreta dell’uomo e 
            la sua vita reale. Non è infine inutile osservare che queste 
            due ultime drammatiche canzoni di Mercury sono recentemente state 
            utilizzate per lo spot pubblicitario di una automobile: è il 
            modo con cui oggi si considerano le domande più serie dell’uomo.
 
 La sorpresa di Elvis Presley
 In questo percorso alla ricerca di fenomeni musicali rilevanti 
            nel mondo giovanile che abbiano avuto un rapporto con il fatto cristiano, 
            sorprende non poco il trovare anche una star come Elvis Presley. E 
            sorprende ancora di più constatare che proprio un personaggio 
            ritenuto il simbolo di una generazione e di una vita senza rapporto 
            con il passato sia interprete di una serie di canti gospel di grande 
            intensità religiosa. È ben vero che Presley ha interpretato 
            nella sua carriera ben 747 canzoni e 33 film; ma resta indubbiamente 
            significativo che nell’elenco figurino anche 20 gospel e 40 
            canti religiosi di vario genere. Si potrà obiettare che il 
            tutto sia avvenuto per puro gusto estetico o per scopo commerciale; 
            può darsi, ma resta il fatto che in prima persona Presley ha 
            dato voce a parole che lo coinvolgono apertamente in una concezione 
            del mondo e che nel panorama musicale del periodo potevano essere 
            più compromettenti che vantaggiose. Al di là comunque 
            di ogni congettura va considerato con attenzione il fatto che anche 
            un cantante così singolare sia stato in un qualche rapporto 
            con l’evento cristiano; che questo poi non abbia determinato 
            più di tanto la sua storia, conclusasi tragicamente nel 1977 
            a soli 42 anni, rientra nel contesto delle considerazioni sopra svolte 
            riguardo al tipo di esperienza che il mondo giovanile di questi ultimi 
            decenni ha potuto fare della proposta crsitiana, ridotta a momento 
            spirituale-idealistico e a lontananza dall’esistenza. In tale 
            contesto resta significativo il fatto che Presley abbia avvertito 
            in qualche modo l’esigenza di paragonarsi con il cuore del cristianesimo 
            e cioè la persona di Cristo; oltretutto ciò è 
            avvenuto con canti gospel eseguiti con gusto e qualità, in 
            un arco di tempo di ben quindici anni tra il 1957 e il 1972, con arrangiamenti 
            spesso curati personalmente dallo stesso cantante.
 
 Venendo alle parole dei canti scelti da Presley troviamo testi di 
            forte contenuto religioso.
 In Put Your Hand In The Hand descrive la preghiera semplice che un 
            uomo ricorda di avere ricevuto quando aveva sette anni dai suoi genitori: 
            è la preghiera che invita a seguire Cristo con fiducia in tutte 
            le circostanze della vita. "Put your hand in the hand of the 
            man who stilled the water, Put your hand in the hand of the man who 
            calmed the sea, Take a look at yourself and you can look at others 
            differently, by puttin' your hand in the hand of the man from Galilee, 
            oh yeah": poni la tua mano nella mano dell’uomo che calmò 
            le acque, poni la tua mano nell’uomo che calmò il mare; 
            dà un’occhiata a te stesso e potrai guardare agli altri 
            differentemente da prima, poiché poni la tua mano nella mano 
            dell’uomo di Galilea.
 
 In Take My Hand Precious Lord Presley prega direttamente Dio: "Precious 
            Lord, take my hand, Lead me on, let me stand, I am tired, I am weak 
            and worn, Through the storm, through the night, Lead me on to the 
            light, Take my hand precious Lord, lead me home": Prezioso Signore, 
            prendi la mia mano, guidami,sostienimi; io sono stanco, sono debole 
            e sfinito; attraverso la tempesta, attraverso la notte, conducimi 
            alla luce, prendi la mia mano, prezioso Signore, conducimi a casa.
 
 In Reach Out To Jesus ancora un invito a confidare in Gesù 
            Cristo: "Jesus will help you when on His name you call. He's 
            always there, hearing ev'ry prayer faithful and true walking by your 
            side, in His love we'll hide all the day through; When you get discouraged, 
            just remember what to do: Reach out to Jesus, He's reaching out to 
            you": Gesù ti aiuterà quando invocherai il suo 
            nome. Egli è sempre là, ad ascoltare ogni preghiera, 
            fedele e reale a camminare al tuo fianco; ci rifugeremo nel suo amore 
            lungo tutto il giorno; quando sei scoraggiato ricorda cosa fare: vieni 
            da Gesù.
 Sono solo alcuni esempi. È difficile pensare che dietro a queste 
            parole e al modo appassionato con cui vengono cantate non ci sia veramente 
            uno sguardo di stupore verso Qualcuno che, benchè poco conosciuto, 
            si lascia intuire come l’Ideale cui tutto ultimamente converge.
 
 Lo stupore di John Denver
 Val la pena concludere questo veloce excursus con un episodio 
            che ha rivelato sentimenti come quelli finora descritti anche nell’animo 
            del più grande interprete della musica country americana, John 
            Denver, autore di brani famosissimi come Take Me Home Country Roads 
            ("Portami a casa, strada di questa terra"), scomparso in 
            un incidente areo nel 1997. Nel 1995 accettò di intervenire 
            al Concerto di Natale che ogni anno si svolge in Vaticano in onore 
            del Papa, trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo. Cantò 
            una canzone tradizionale americana sul tema del Natale, con una profondità 
            di sguardo inconsueta; poi chiese fuori programma di dire una cosa, 
            che sorprese tutti gli ascoltatori: "Mi sono sempre chiesto che 
            cosa avrei provato se fossi stato presente quando e dove Gesù 
            è nato; questa sera qui con voi per la prima volta penso di 
            averlo provato".
 
 Queste parole suggellano tutto quanto abbiamo visto finora: l’incontro 
            con la comunità dei credenti in cui Cristo ha assicurato di 
            essere presente permette all’uomo di riconoscere che quell’Uomo 
            straordinario non è solo un uomo e non è lontano. Così 
            il nostro tempo ha bisogno di vivere questo incontro, perché 
            l’intuizione generata da una conoscenza anche minima della persona 
            di Cristo diventi avvenimento per la vita, storia, cammino, costruzione, 
            appartenenza vissuta.
 L’aridità di una "assenza" e l’urgenza 
            di una "presenza"
 
 Resterebbe qui un lungo capitolo da svolgere per completare il quadro 
            tracciato finora. Abbiamo infatti parlato del rapporto esplicito tra 
            alcuni grandi fenomeni della musica giovanile contemporanea e il fatto 
            cristiano; ora resterebbe da vedere il panorama di tante manifestazioni 
            che nascono da molti autori che del fatto cristiano non fanno cenno, 
            quando non lo rifiutano esplicitamente. Si tratta in sostanza di una 
            moltitudine di parole, musiche, sentimenti che documentano l’esisto 
            di questa "assenza" totale: è l’emergere di 
            uno smarrimento umano profondo, di una radicale mancanza di significato, 
            di una solitudine devastante.
 
 Guccini con il suo desolato nichilismo (si pensi a canzoni come Quello 
            che non o a Canzone delle domande consuete); Ligabue con le sue canzoni 
            elettrizzanti ma piene di sperdutezza (ad esempio Hai un momento Dio?, 
            o Si viene e si va o Cosa credo); Vasco Rossi con la sua feroce esaltazione 
            del vuoto esistenziale dei giovani (come in Siamo solo noi); tanti 
            gruppi rock di lingua inglese con espressioni musicali tese a sfruttare 
            ogni istintività e ogni spiraglio di mercato; gruppi musicali 
            votati al satanismo e al culto della violenza; videoclip sempre più 
            marcati da queste tendenze; una florida editoria discografica e pubblicistica 
            che determina immagini, gusti, "valori" in milioni di giovani… 
            Tutto questo panorama è quanto di più indicativo si 
            possa trovare per documentare l’esito devastante di una cultura 
            che ha fatto della eliminazione di Dio e di Cristo dalla vita la sua 
            caratteristica più tenace. È un autentico miracolo che 
            in questo panorama si possano trovare voci come quelle descritte nei 
            paragrafi precedenti, pur con tutti i limiti sopra evidenziati.
 
 Dalle sabbie mobili del nichilismo e della violenza non si esce con 
            iniziative politiche e sociali. Il mondo del rock lo dimostra con 
            umiliante schiettezza. È solo un rinnovato incontro con una 
            umanità vera che può ridestare una realtà stagnante 
            come quella contemporanea.
 
 "L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto 
            secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti 
            criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine 
            e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, 
            con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così 
            dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" 
            ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione e della redenzione 
            per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, 
            allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche 
            di profonda meraviglia di se stesso… In realtà, quel 
            profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo 
            si chiama vangelo, cioè la buona novella. Si chiama anche cristianesimo.
 
 Questo stupore giustifica la missione della chiesa nel mondo, anche, 
            e forse di più ancora, "nel mondo contemporaneo"". 
            Queste parole di Giovanni Paolo II, tratte dalla sua prima enciclica 
            Redemptor Hominis, concludono nel modo miglore il percorso fin qui 
            percorso. I grandi incontri dei giovani con il Papa in tutto il mondo 
            (come lo storico incontro di Parigi nel 1997 con più di un 
            milione di partecipanti) costituiscono il grande segno di un rinnovamento 
            della realtà giovanile contemporanea, i cui frutti si vedranno 
            nel tempo. Così anche il sorgere di movimenti ecclesiali legati 
            al mondo giovanile costituisce motivo di speranza. Una cultura senza 
            Dio ha fatto un corso di disumana devastazione della comunità 
            umana; una nuova cultura che nasce dalla riscoperta di Dio come avvenimento 
            per la vita potrà portare a cose grandi, anche nel campo della 
            musica.
 
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