Rock Impressions
 

Assenza e desiderio: la musica giovanile contemporanea di fronte al fatto cristiano
di Matteo Graziola, a cura di Marco Parravicini

Un contesto culturale inevitabile
Sappiamo tutti quanto peso abbia la musica per i giovani di oggi. La tecnologia attuale permette a tutti loro di ascoltare e anche di produrre espressioni musicali di ogni genere. Da un punto di vista economico e sociale-culturale-politico si tratta di un mercato enorme con in gioco interessi da capogiro. Tutta la produzione artistica è determinata in modo assai superiore al passato da questi interessi: le case discografiche sono in grado di pilotare con mezzi potentissimi i gusti e i consumi del pubblico giovanile. Nessun gruppo musicale può emergere se non è veicolato e lanciato da un apparato complesso che è in grado di mobilitare l’intero mondo dei mass-media: il successo di un prodotto musicale è determinato dai "passaggi" nelle televisioni, nelle radio, sulla stampa, nella catena di distribuzione discografica. Chi dunque desidera essere ascoltato nella sua creazione musicale deve corrispondere ai criteri socio-culturali fissati da questo apparato.

Tutta questa struttura, con la sua logica interna, poggia sul fatto che il soggetto interlocutore dell’artista non è più la persona e un popolo, ma una massa. Quest’ultima non ha un’identità, una autocoscienza precisa, una storia, una capacità di giudizio: vive di fatto avendo come unico punto di riferimento una mentalità dominante che è nello stesso tempo ciò che determina la massa e ciò che è determinato da essa, in un giro vizioso in cui la persona umana non ha più la capacità di usare la sua ragione e si adegua istintivamente ad un flusso impersonale e privo di autentiche ragioni. Ognuno è complice in qualche modo di questo flusso e ognuno è in qualche modo una sua vittima. Sta di fatto che questo flusso esiste e travolge la stragrande maggioranza delle persone senza che esse abbiano nemmeno la coscienza di essere travolte, anzi vantando una finalmente realizzata libertà.

Le radici di questa mentalità dominante affondano nel lungo periodo di questi ultimi sei secoli in cui abbiamo visto il formarsi e il diffondersi della cosiddetta "cultura moderna": essa si è inizialmente formata tra le elites intellettuali, ma ha poi conquistato dapprima il mondo della scuola nella sua totalità e di conseguenza poi quello dei mass-media, nati all’interno di questa cultura e perciò conosciuti solo nella modalità di uso e di contenuto che così hanno assunto. La cultura moderna, al di là di tanti aspetti positivi che in altra sede sono stati tante volte evidenziati, si caratterizza di fatto per una ben precisa posizione religiosa: "Dio se c’è non c’entra", come ha scritto il filosofo Cornelio Fabbro. Non si nega necessariamente l’esistenza di Dio, ma non si ammette che Egli possa interferire con l’esistenza concreta e con la mentalità con cui si affronta la realtà.

Il fatto di Cristo allora, in quanto caratterizzato dalla pretesa di essere la presenza visibile e incontrabile di Dio nel mondo, rappresenta inevitabilmente un fatto intollerabile per la cultura dominante e quindi per il potere dominante, specialmente nella forma storica concreta di questo fatto che è la Chiesa: un popolo che si riconosce costituito e determinato dalla presenza reale di Cristo stesso. Questo popolo dunque, in quanto soggetto che affronta la realtà a partire da una concezione del mondo e dell’uomo che trova in Cristo il suo centro e la sua forza, è il punto irriducibile che si oppone al processo di massificazione della società.

Il cerchio a questo punto si chiude: una cultura dominante che ha conquistato i grandi mezzi della formazione culturale e della comunicazione dell’intera società tenta continuamente di svilupparsi estromettendo il fatto di Cristo dalla coscienza e dalla vita degli uomini. Questo processo è tanto più carico di successo quanto più non trova la resistenza di uomini vivi, cioè di un popolo cosciente di sé.

Ma il fatto di Cristo e del suo popolo è ultimamente un fatto indistruttibile: anzitutto per la forza misteriosa che lo caratterizza e che ne garantisce la sussistenza; ma in secondo luogo anche per il legame ineludibile che esso ha con il cuore stesso dell’uomo. La cultura moderna si trova a fare i conti con questo cuore, cioè con la ragione stessa dell’uomo e tutte le sue domande: così ogni progetto di costruzione di una società senza Cristo finisce con il naufragio dell’umano. "È i la voce di Dio che ci chiama a illuminare le coscienze con la luce del Vangelo" (ibidem)

Il mondo musicale giovanile di fronte al fatto cristiano
In questo panorama culturale la persona di Cristo è considerata secondo quattro direttive fondamentali: una incapacità radicale a cogliere l’integrità dei fattori costitutivi della persona di Cristo; la conseguente riduzione di Cristo a semplice uomo e personaggio della storia, simbolo di una concezione vitalistica o rivoluzionaria dell’esistenza; una certa attrattiva verso il misterioso fascino di questa figura ideale e del suo messaggio; infine un sentimento vago della sua presenza avvertita però come fatto puramente ideale-spiritualistico-sentimentale, senza alcun legame con l’esperienza della Chiesa. È proprio questa separazione totale tra Cristo e la sua continuità storica nella Chiesa la ragione della incapacità radicale a comprendere la natura del fatto cristiano stesso.

È chiaro che questa riduzione del fatto cristiano, pur con certi aspetti di attrattiva verso la persona di Cristo stesso, ha le sue radici nel clima culturale sopra descritto che ha reso quasi del tutto sconosciuta e inconoscibile la verità su Cristo. Il mondo cristiano ha qui probabilmente delle responsabilità su cui riflettere.

Un fenomeno emblematico: "Jesus Christ Supestar"
All’inizio degli anni settanta viene realizzato un musical sulla figura di Gesù Cristo che otterrà un successo enorme in tutto il mondo giovanile americano, europeo e mondiale in genere (nel 1992 in Australia alle diverse rappresentazioni di questa spettacolo hanno partecipato un milione di persone e il disco è stato il più venduto dell’anno): si tratta del celebre Jesus Christ Superstar, in versione teatrale e cinematografica, che ancora oggi riempie le sale di tutto il mondo.

È chiaro che dietro il successo impressionante di quest’opera non sta semplicemente una buona produzione musicale e teatrale, ma il fascino di una persona ben precisa, cioè di Cristo stesso. E nello stesso tempo quest’opera è indice di una profonda confusione circa l’identità di questo personaggio, anzi di un diffuso tentativo, anche dentro il mondo cristiano, di ricondurlo dentro i limiti ammessi dalla cultura moderna sopra descritta: di conseguenza Cristo è presentato come un semplice uomo, per di più insicuro, votato ad una fine sacrificale senza senso, vittima di un dio crudele e irrazionale.

Tim Rice, uno dei due autori del musical, ha dichiarato che "l’idea dell’opera è di far vedere Cristo con gli occhi di Giuda… Cristo uomo, non Dio… E, come Giuda, anche Cristo è confuso e non sa realmente chi è"; e fa dire a Maddalena: "È un uomo, è solo un uomo"; e a Giuda: "Dio! Non saprò mai perché mi hai scelto per il tuo crimine, il tuo ripugnante, crudele crimine! Tu mi hai assassinato!". Nel ritornello del brano principale Giuda chiede a Cristo: "Pensi proprio di essere quello che loro (gli apostoli) pensano che tu sia?". Quest’ultima affermazione mostra la concezione della Chiesa che attraversa non solo quest’opera, ma la mentalità dominante in genere: la Chiesa come realtà deleteria da cui la figura di Cristo deve essere distinta e liberata.

È chiaro quindi che quest’opera mette in evidenza il tipo di rapporto che in questi ultimi decenni, a partire soprattutto dagli anni della contestazione giovanile americana, si è venuto formando tra il mondo dei giovani occidentali e la figura di Cristo: da una parte un’attrattiva profonda e normalmente censurata, dall’altra una ignoranza pesante sulla realtà della sua persona e della sua opera, terreno fertile per travisamenti ideologici della sua identità; in particolare risulta evidente la separazione di Cristo dalla sua Chiesa, concepita per lo più come un organismo di potere che ha mitizzato la figura di Cristo per i propri interessi.

Dentro questa ambiguità continua a muoversi la realtà giovanile occidentale di questi ultimi anni: tra una scristianizzazione evidente da una parte e dall’altra fenomeni di grande riscoperta del cristianesimo da parte dei giovani (come mostra lo straordinario fenomeno delle grandi adunate di giovani con il Papa). È una situazione esistenziale che è per i cristiani motivo di una responsabilità eccezionale di nuova evangelizzazione.

Una conversione senza sbocco: Bob Dylan
"I put all my confidence in Him, my sole protection, is the saving grace that's over me": "ho posto ogni mia speranza in Lui, mio solo rifugio; è la grazia che salva che è su di me" (Saving Grace).
"You have given everything to me. What can I do for You? You have laid down Your life for me. What can I do for You?": Tu mi hai dato tutto, cosa posso fare per Te? Hai dato la tua vita per me, cosa posso fare per Te?" (What can I do for You?).

" When they came for Him in the garden, did they know? Did they know He was the Son of God, did they know that He was Lord? …When He rose from the dead, did they believe? He said, "All power is given to Me in heaven and on earth": quando vennero per prenderLo nell’orto degli Ulivi, sapevano? Sapevano che Egli era il Figlio di Dio, riconobbero che era il Signore? Quando Lui risorse dalla morte, loro credettero? Lui disse: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (In the Garden).

"Saved, by the blood of the lamb, saved, saved, and I'm so glad.Yes, I'm so glad, I'm so glad, so glad, I want to thank You, Lord, I just want to thank You, Lord, Thank You, Lord": salvato dal sangue dell’agnello, salvato, salvato, e io sono felice. Sì, io sono felice, così felice, voglio ringraziare Te, Signore, davvero voglio ringraziare Te, Signore, grazie a Te, Signore" (Saved).

Sono citazioni eloquenti da tre canzoni di Bob Dylan, e molte altre se ne potrebbero aggiungere ascoltando i due LP (Saved e Slow Train Coming) con cui nel 1979 e 1980 il celebre cantautore americano annunciava la sua aperta conversione alla fede cristiana. Il simbolo della protesta giovanile americana, il poeta di quella drammatica ricerca di una vita senza ipocrisie che aveva caratterizzato tutto il mondo degli Hippy, il più prestigioso cantautore del mondo occidentale annunciava di avere trovato la risposta alle grandi domande che avevano riempito tutte le sue canzoni e la sua stessa vita: e questa risposta si chiamava Gesù Cristo. Proprio quel Cristo che era stato ridotto ad un semplice uomo e ad un simbolo degli ideali di giustizia e di libertà veniva ora riconosciuto come il Figlio di Dio, il Salvatore dell’uomo, il Risorto, il senso della vita.

Il fatto mise sottosopra tutto il mondo della critica musicale. E tutti i più consolidati luoghi comuni furono tirati in ballo per neutralizzare il valore dell’accaduto. Bob Dylan non riuscì a far fronte alla sfida che egli stesso aveva lanciato: mancava forse il lui un adeguato approfondimento delle ragioni della sua fede e ancor più un legame con persone coinvolte nella stessa esperienza cristiana. Così ben presto la sua professione di fede cristiana venne riassorbita e messa nel dimenticatoio. Dylan stesso sembrò non riprendere più l’argomento e lasciare un enigma circa la sua vera posizione riguardo al cristianesimo. Negli ultimi anni però è tornato qua e là sul tema della sua fede in Dio, dichiarando tranquillamente che questa fede costituisce il punto più importante nella formazione umana e culturale di un uomo e che è grave che la società non ne sia consapevole. Nel suo ultimo CD inciso nel 1997 cita due volte Dio nelle sue canzoni; ma si tratta di citazioni marginali che fanno capire quanto la questione sia lasciata da Dylan stesso in termini inadeguati.

Concludendo occorre notare che anche in questo singolare e considerevole fenomeno della "conversione" di Dylan ritroviamo in buona parte l’impostazione culturale descritta nel punto precedente: il fatto di Cristo è avvertito carico di attrattiva per la vita, ma nello stesso tempo è afferrato in termini ancora riduttivi, senza il riconoscimento e la verifica della sua presenza dentro una realtà precisa che è la sua Chiesa. Così la fede che ne scaturisce è fragile e inevitabilmente monca. Resta comunque il fatto che il più venerato tra gli artisti della beat generation ne abbia avvertito o presentito, a dispetto di tutta la cultura dominante, l’incommensurabile valore.

Una figura venerata ma lontana: il caso "U2"
Un altro fenomeno rilevante nel mondo musicale giovanile che ha manifestato un rapporto con il cristianesimo è quello del gruppo irlandese degli "U2", il cui successo si protrae ormai da quasi vent’anni ai massimi livelli del mercato discografico e dei grandi concerti. Anche in questo caso troviamo una posizione di fondo che tradisce, benchè in modi diversi rispetto ai casi precedenti e con accenti di autentica religiosità cristiana, una evidente riduzione del fatto cristiano, secondo i canoni imposti dalla cultura dominante sopra descritta.

Nella produzione musicale di questo gruppo – specialmente in quella dei primi anni - troviamo brani di esplicita adesione alla fede cristiana. È il caso per esempio di Gloria: "But only in you I'm complete. Gloria, in Te Domine, Gloria, exultate! Oh Lord, loosen my lips I try to sing this song. I try to get in, but I can't find the door. The door is open. You're standing there, Let me in. Gloria, Gloria! Oh Lord, if I have anything, anything at all, I'll give it to you": solo in te io sono realizzato. Gloria in Te, Signore, Gloria, esultate! O Signore, libera le mie labbra. Io provo a cantare questa canzone, io provo ad entrare, ma non riesco a trovare la porta. La porta è aperta. Tu stai lì, fammi entrare. Gloria, gloria! O Signore, se io avessi qualsiasi cosa la darei a Te.

Una fede esplicita è evidente anche in "40", una canzone che riprende le parole del Salmo 40: " I waited patiently for the Lord He inclined and heard my cry. He brought me right out of the pit, out of my reglade. I will sing a new song, How long to sing this song? He set my feet upon a rock, and made my footsteps heard. Many will see, Many will see and fear. I will sing, sing a new song. How long to sing this song?": ho atteso con pazienza il Signore Lui si è chinato ed ha udito il mio lamento Allora mi ha preso e mi ha condotto a sè fuori dall'inferno Lontano dalle sabbie mobili. E io canterò, canterò una nuova canzone E io canterò, canterò una nuova canzone Per quanto ancora dovrò cantare questa? Poi Egli mi ha indicato la via della roccia E ha donato fermezza ai miei passi Molti vedranno, molti vedranno e potranno udire. Io canterò, canterò una nuova canzone, io canterò, canterò una nuova canzone, per quanto ancora dovrò cantare questa?.

Anche nella famosa Pride, dedicata a Martin Luther King, troviamo un richiamo alla figura di Gesù Cristo: "One man come in the name of love, one man come and go, one man come he to justify, one man to overthrow. In the name of love, what more in the name of love. In the name of love!": un uomo viene nel nome dell’amore, un uomo viene e va, un uomo viene per giustificare, un uomo per rovesciare. Nel nome dell’amore, proprio nel nome dell’amore.

In Drowning Man troviamo una religiosità intensa, anche se non specificamente cristiana: "Take my hand, You know I'll be there If you can I'll cross the sky for your love. For I have promised for to be with you tonight and for the time that will come": Prendi la mia mano Sai che ci sarò; se tu riuscirai, attraverserò Il cielo per il tuo amore: ho promesso di esserti accanto questa sera e per i tempi che verranno.

Infine – ma l’elenco potrebbe continuare – nella celebre Sunday bloody Sunday, appassionata riflessione sugli orrori del terrorismo in Irlanda, si afferma che a dispetto di una violenza che sembra invincibile c’è proprio Gesù Cristo che è venuto a proclamare la vittoria dell’amore: "The real battle just begun, to claim the victory Jesus won on a sunday, bloody sunday sunday, bloody sunday": la vera battaglia è appena cominciata, Gesù vinse per proclamare la vittoria in una domenica, insanguinata domenica.

Siamo dunque di fronte ad un rapporto significativo di questo gruppo di musicisti con l’evento cristiano, almeno nella produzione degli anni ottanta; e tuttavia non può non balzare agli occhi anche in questo caso una determinante riduzione di questo evento nei termini già sopra incontrati. È evidente infatti che la persona di Cristo è ancora una volta considerata senza alcun riferimento con quella realtà umana concreta attraverso cui si realizza la sua continuità nella storia, e cioè la Chiesa o comunità dei credenti. Mancando questa realtà la fede in Cristo rimane come sospesa in un vuoto insuperabile: esercita un inevitabile fascino, ma rimane lontana, a lato della vita ‘normale’. Così si ripropone quel dualismo esistenziale che caratterizza tutta la cultura moderna: da una parte una certa dimensione "religiosa" in cui spicca la figura di Cristo come la più significativa ma completamente spiritualizzata; dall’altra la dimensione della "vita reale" con i problemi, le ansie, i desideri, le esperienze di ogni giorno. E inevitabilmente un Cristo così spiritualizzato può anche essere sinceramente venerato, ma non è riconosciuto come la risposta reale ai problemi e alle domande della vita reale.

È estremamente significativa a questo riguardo una delle canzoni più famose degli "U2", I still haven’t found what I’m looking for ("non ho ancora trovato quello che sto cercando"). In essa troviamo una interessante espressione del senso religioso dell’uomo, descritto come spinta continua a superare qualsiasi soddisfazione particolare alla ricerca di quella totale; quest’ultima è presentata come un "to be with you", stare con te, dove questo tu, come si capisce nella strofa finale, è quello di Cristo; e tuttavia proprio nella strofa finale a questo tu si dice: "I believe in the Kingdom Come, then all the colours will bleed into one, but yes I' m still running. You broke the bonds, You loosed the chains, You carried the cross and my shame, oh my shame, You know I believe it; but I still haven' t found what I' m looking for, but I still haven' t found what I' m looking for": credo al Regno dei Cieli, quel giorno i colori saranno uno solo, ma ora sto ancora correndo. Tu hai infranto i legami, tu hai sciolto le catene, tu hai portato la croce e la mia vergogna, oh, la mia vergogna! Sai che lo credo, ma non ho ancora trovato quello che sto cercando, ma non ho ancora trovato quello che sto cercando. Vale a dire: credo che Cristo sia qualcosa di grande, ma non la risposta alla mia domanda di uomo in questa vita reale. Una riduzione inequivocabile del cristianesimo, pur dentro una religiosità per certi versi apprezzabile. E questa riduzione, insieme al dualismo sopra descritto di cui è conseguenza inevitabile, caratterizza la coscienza che la maggior parte dei contemporanei occidentali hanno del fatto cristiano.

Verso una domanda seria: i Queen e Freddy Mercury
"Can anybody find me somebody to love, Each morning I get up I die a little, Can barely stand on my feet, Take a look in the mirror and cry. Lord what you're doing to me? I have spent all my years in believing You, but I just can't get no relief, Lord! Somebody, somebody, can anybody find me somebody to love?": chi può trovarmi qualcuno da amare? Ogni mattina mi alzo e mi sento morire un po'; riesco a malapena a stare in piedi; guardo lo specchio e piango. Signore cosa mi stai facendo? Ho passato tutta la mia vita a credere in Te, ma non riesco a riceverne conforto, Signore! Qualcuno, qualcuno chi può trovarmi qualcuno da amare?.

Queste parole sono tratte dalla famosa canzone Somebody to love con cui il gruppo dei Queen ha siglato negli anni settanta il suo clamoroso successo; in esse ritroviamo la contraddizione già evidenziata nella musica degli U2: il fatto religioso sentito come qualcosa di diverso dalla risposta alle domande della vita reale. Ciononostante c’è in questa canzone dei Queen un desiderio positivo di concretezza, quasi una domanda a Dio perché l’amore non rimanga una cosa astratta e senza volto; si avverte che non si ha nemmeno l’idea che proprio il fatto cristiano, autenticamente considerato, si presenta con questa concretezza pienamente sperimentabile e verificabile nella realtà ecclesiale: è chiaro ancora una volta che proprio l’esperienza di questa realtà è ciò che manca e rende indefinibile la figura di Cristo stesso.

Anche in altre canzoni i Queen sono tornati sul tema religioso, come in Miracle, dove si afferma che la possibilità di una vera novità nella storia viene da qualcosa di eccezionale, il miracolo, scaturigine continua del disegno della creazione: "Every drop of rain that falls in Sahara desert says it all, It's a miracle, All God's creation great and small, the Golden Gate and the Taj Mahal, That's a miracle": ogni goccia di pioggia che cade nel deserto del Sahara dice già tutto, è un miracolo, Tutte le creazioni di Dio grandi e piccole, il Golden Gate e il Taj Mahal, tutto ciò è miracolo; "It's a miracle we need - the miracle, The miracle we're all waiting for today.": è un miracolo ciò di cui abbiamo bisogno - il miracolo, il miracolo che noi tutti oggi stiamo aspettando; "If all God's people could be free, to live in perfect harmony, It's a miracle": se tutti i popoli di Dio potessero essere liberi, per vivere in perfetta armonia, sarebbe un miracolo.

Il tutto rimane per la verità dentro un contesto molto confuso, dove anche la vita in provetta è considerata un miracolo; ma senza non manca in questa canzone una intuizione felice, che purtroppo per i motivi sopra ricordati non diventa storia.

Il leader del gruppo, Freddy Mercury, è morto pochi anni fa a causa di un male incurabile; conscio della sua malattia, nelle sue ultime produzioni canore ha espresso una intensa e drammatica domanda sulla vita, che è culminata nell’ultima canzone in una preghiera nel senso stretto della parola.

È anzitutto in The Show must go on ("lo spettacolo deve andare avanti") che Mercury denuncia l’ipocrisia di un mondo che non vuole prendere in considerazione il suo dolore e la sua domanda sulla vita e lo spinge a far finta di nulla, perché tutto deve andare avanti indisturbato: "The show must go on, The show must go on, Inside my heart is breaking, my make up may be flaking but my smile still stays on": lo spettacolo deve andare avanti, lo spettacolo deve andare avanti, dentro il mio cuore si sta lacerando, il mio trucco potrebbe sciogliersi ma il mio sorriso rimane.

Ma è in Guide Me Home ("Conducimi a casa") e in How Can I Go On ("Come posso andare avanti") che la domanda si fa più chiara e diventa infine domanda a Dio: "Now the wind has lost my sail, Now the scent has left my trial, Who will find me, Take care and side with me… Who can save me, Lead me to my destiny, Guide me back, safely to my home, where I belong, once more": ora il vento ha abbandonato la mia vela, il profumo non c’è più sul mio cammino, chi mi troverà, si prenderà cura di me e mi sosterrà… Chi può salvarmi, condurmi al mio destino, condurmi indietro, con sicurezza alla mia casa, alla quale io appartengo, ancora una volta.

E subito dopo: "How can I go on from day to day, Who can make me strong in every way, Where can I be safe, Where can I belong in this great big world of sadness, How can I forget those beautiful dreams that we shared, They're lost and theyr're no where to be found, How can I go on? Sometimes I tremble in the dark, I cannot see when people frighten me, I try to hide myself so far from the crowed, Is anybody there to comfort me, Lord...take care of me": come posso andare avanti giorno dopo giorno, chi può rendermi sempre forte, dove posso essere sicuro, a quale luogo posso appartenere in questo grande mondo di tristezza, come posso dimenticare quei meravigliosi sogni che noi avevamo in comune, essi sono perduti e non c’è luogo dove si possano ritrovare. Come posso andare avanti? Talvolta tremo nell’oscurità, non posso vedere quando la gente mi impaurisce, io provo a nascondermi lontano dalla folla, non c’è nessuno che mi conforti: Signore, prenditi cura di me".

Il nome di Cristo non compare apertamente, ma è chiaro che questi sentimenti religiosi si riconducono nel mondo occidentale al testo biblico e alla tradizione cristiana, anche se spesso nella musica rock sono stati traspositati con disinvoltura in altri contesti religiosi, specialmente orientali. In ogni caso il dramma che Mercury ha vissuto ha reso più serio il rapporto con quel Dio che viene ora percepito come un fattore determinante la domanda concreta dell’uomo e la sua vita reale. Non è infine inutile osservare che queste due ultime drammatiche canzoni di Mercury sono recentemente state utilizzate per lo spot pubblicitario di una automobile: è il modo con cui oggi si considerano le domande più serie dell’uomo.

La sorpresa di Elvis Presley
In questo percorso alla ricerca di fenomeni musicali rilevanti nel mondo giovanile che abbiano avuto un rapporto con il fatto cristiano, sorprende non poco il trovare anche una star come Elvis Presley. E sorprende ancora di più constatare che proprio un personaggio ritenuto il simbolo di una generazione e di una vita senza rapporto con il passato sia interprete di una serie di canti gospel di grande intensità religiosa. È ben vero che Presley ha interpretato nella sua carriera ben 747 canzoni e 33 film; ma resta indubbiamente significativo che nell’elenco figurino anche 20 gospel e 40 canti religiosi di vario genere. Si potrà obiettare che il tutto sia avvenuto per puro gusto estetico o per scopo commerciale; può darsi, ma resta il fatto che in prima persona Presley ha dato voce a parole che lo coinvolgono apertamente in una concezione del mondo e che nel panorama musicale del periodo potevano essere più compromettenti che vantaggiose. Al di là comunque di ogni congettura va considerato con attenzione il fatto che anche un cantante così singolare sia stato in un qualche rapporto con l’evento cristiano; che questo poi non abbia determinato più di tanto la sua storia, conclusasi tragicamente nel 1977 a soli 42 anni, rientra nel contesto delle considerazioni sopra svolte riguardo al tipo di esperienza che il mondo giovanile di questi ultimi decenni ha potuto fare della proposta crsitiana, ridotta a momento spirituale-idealistico e a lontananza dall’esistenza. In tale contesto resta significativo il fatto che Presley abbia avvertito in qualche modo l’esigenza di paragonarsi con il cuore del cristianesimo e cioè la persona di Cristo; oltretutto ciò è avvenuto con canti gospel eseguiti con gusto e qualità, in un arco di tempo di ben quindici anni tra il 1957 e il 1972, con arrangiamenti spesso curati personalmente dallo stesso cantante.

Venendo alle parole dei canti scelti da Presley troviamo testi di forte contenuto religioso.
In Put Your Hand In The Hand descrive la preghiera semplice che un uomo ricorda di avere ricevuto quando aveva sette anni dai suoi genitori: è la preghiera che invita a seguire Cristo con fiducia in tutte le circostanze della vita. "Put your hand in the hand of the man who stilled the water, Put your hand in the hand of the man who calmed the sea, Take a look at yourself and you can look at others differently, by puttin' your hand in the hand of the man from Galilee, oh yeah": poni la tua mano nella mano dell’uomo che calmò le acque, poni la tua mano nell’uomo che calmò il mare; dà un’occhiata a te stesso e potrai guardare agli altri differentemente da prima, poiché poni la tua mano nella mano dell’uomo di Galilea.

In Take My Hand Precious Lord Presley prega direttamente Dio: "Precious Lord, take my hand, Lead me on, let me stand, I am tired, I am weak and worn, Through the storm, through the night, Lead me on to the light, Take my hand precious Lord, lead me home": Prezioso Signore, prendi la mia mano, guidami,sostienimi; io sono stanco, sono debole e sfinito; attraverso la tempesta, attraverso la notte, conducimi alla luce, prendi la mia mano, prezioso Signore, conducimi a casa.

In Reach Out To Jesus ancora un invito a confidare in Gesù Cristo: "Jesus will help you when on His name you call. He's always there, hearing ev'ry prayer faithful and true walking by your side, in His love we'll hide all the day through; When you get discouraged, just remember what to do: Reach out to Jesus, He's reaching out to you": Gesù ti aiuterà quando invocherai il suo nome. Egli è sempre là, ad ascoltare ogni preghiera, fedele e reale a camminare al tuo fianco; ci rifugeremo nel suo amore lungo tutto il giorno; quando sei scoraggiato ricorda cosa fare: vieni da Gesù.
Sono solo alcuni esempi. È difficile pensare che dietro a queste parole e al modo appassionato con cui vengono cantate non ci sia veramente uno sguardo di stupore verso Qualcuno che, benchè poco conosciuto, si lascia intuire come l’Ideale cui tutto ultimamente converge.

Lo stupore di John Denver
Val la pena concludere questo veloce excursus con un episodio che ha rivelato sentimenti come quelli finora descritti anche nell’animo del più grande interprete della musica country americana, John Denver, autore di brani famosissimi come Take Me Home Country Roads ("Portami a casa, strada di questa terra"), scomparso in un incidente areo nel 1997. Nel 1995 accettò di intervenire al Concerto di Natale che ogni anno si svolge in Vaticano in onore del Papa, trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo. Cantò una canzone tradizionale americana sul tema del Natale, con una profondità di sguardo inconsueta; poi chiese fuori programma di dire una cosa, che sorprese tutti gli ascoltatori: "Mi sono sempre chiesto che cosa avrei provato se fossi stato presente quando e dove Gesù è nato; questa sera qui con voi per la prima volta penso di averlo provato".

Queste parole suggellano tutto quanto abbiamo visto finora: l’incontro con la comunità dei credenti in cui Cristo ha assicurato di essere presente permette all’uomo di riconoscere che quell’Uomo straordinario non è solo un uomo e non è lontano. Così il nostro tempo ha bisogno di vivere questo incontro, perché l’intuizione generata da una conoscenza anche minima della persona di Cristo diventi avvenimento per la vita, storia, cammino, costruzione, appartenenza vissuta.
L’aridità di una "assenza" e l’urgenza di una "presenza"

Resterebbe qui un lungo capitolo da svolgere per completare il quadro tracciato finora. Abbiamo infatti parlato del rapporto esplicito tra alcuni grandi fenomeni della musica giovanile contemporanea e il fatto cristiano; ora resterebbe da vedere il panorama di tante manifestazioni che nascono da molti autori che del fatto cristiano non fanno cenno, quando non lo rifiutano esplicitamente. Si tratta in sostanza di una moltitudine di parole, musiche, sentimenti che documentano l’esisto di questa "assenza" totale: è l’emergere di uno smarrimento umano profondo, di una radicale mancanza di significato, di una solitudine devastante.

Guccini con il suo desolato nichilismo (si pensi a canzoni come Quello che non o a Canzone delle domande consuete); Ligabue con le sue canzoni elettrizzanti ma piene di sperdutezza (ad esempio Hai un momento Dio?, o Si viene e si va o Cosa credo); Vasco Rossi con la sua feroce esaltazione del vuoto esistenziale dei giovani (come in Siamo solo noi); tanti gruppi rock di lingua inglese con espressioni musicali tese a sfruttare ogni istintività e ogni spiraglio di mercato; gruppi musicali votati al satanismo e al culto della violenza; videoclip sempre più marcati da queste tendenze; una florida editoria discografica e pubblicistica che determina immagini, gusti, "valori" in milioni di giovani… Tutto questo panorama è quanto di più indicativo si possa trovare per documentare l’esito devastante di una cultura che ha fatto della eliminazione di Dio e di Cristo dalla vita la sua caratteristica più tenace. È un autentico miracolo che in questo panorama si possano trovare voci come quelle descritte nei paragrafi precedenti, pur con tutti i limiti sopra evidenziati.

Dalle sabbie mobili del nichilismo e della violenza non si esce con iniziative politiche e sociali. Il mondo del rock lo dimostra con umiliante schiettezza. È solo un rinnovato incontro con una umanità vera che può ridestare una realtà stagnante come quella contemporanea.

"L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso… In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo si chiama vangelo, cioè la buona novella. Si chiama anche cristianesimo.

Questo stupore giustifica la missione della chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, "nel mondo contemporaneo"". Queste parole di Giovanni Paolo II, tratte dalla sua prima enciclica Redemptor Hominis, concludono nel modo miglore il percorso fin qui percorso. I grandi incontri dei giovani con il Papa in tutto il mondo (come lo storico incontro di Parigi nel 1997 con più di un milione di partecipanti) costituiscono il grande segno di un rinnovamento della realtà giovanile contemporanea, i cui frutti si vedranno nel tempo. Così anche il sorgere di movimenti ecclesiali legati al mondo giovanile costituisce motivo di speranza. Una cultura senza Dio ha fatto un corso di disumana devastazione della comunità umana; una nuova cultura che nasce dalla riscoperta di Dio come avvenimento per la vita potrà portare a cose grandi, anche nel campo della musica.


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